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Francesco Grignetti per “La Stampa”
Non ricordavano, non sapevano, non li hanno informati, e comunque non hanno mai avuto un foglio scritto sotto gli occhi. Così l’ex ministro dell’Interno, Beppe Pisanu. Così l’ex ministro della Giustizia, Roberto Castelli. Così il procuratore generale di Catania, Giovanni Tinebra. Dai cassetti del potere esce uno scheletro imbarazzante per molti ex ministri ed ex magistrati. Si chiama Operazione Farfalla e da ora in poi sarà difficile negarne l’esistenza perché è stato il Parlamento a sancirne i contorni, dopo che la commissione parlamentare di controllo sui servizi segreti ha depositato ieri una Relazione approvata nel marzo scorso.
L’Operazione Farfalla, per quel pochissimo che è stato possibile appurare, risale al 2004, in piena era berlusconiana, e vide protagonisti un direttore del Sisde, il generale dei carabinieri Mario Mori, e un direttore del Dipartimento penitenziario, il magistrato Tinebra, già procuratore capo di Caltanissetta. Grazie alla sintonia tra i due - si legge nella Relazione, materialmente predisposta dal senatore Giuseppe Esposito, Ncd - approdati a Roma dopo anni di indagini condotte assieme in Sicilia, il Sisde ebbe accesso alle carceri italiane, cercando di «arruolare» 8 famosi capimafia che erano sottoposti al 41bis e mostravano insofferenza verso i clan. Peccato che ciò si avvenuto al di fuori della legge.
Perciò il Copasir scrive: il Sisde ha agito sconfinando dalla legge sui servizi, che è stata interpretata «in modo strumentale e arbitrario»; il Dap ha svolto un ruolo «non consono alle sue prerogative e fuori dal perimetro assegnato».
Una leggenda nera
Sull’Operazione Farfalla negli anni è cresciuta una leggenda nera. Si è pensato il peggio, favoriti anche dal muro di gomma delle istituzioni. Secondo alcuni è stato il secondo tempo della Trattativa Stato-Mafia. La sola presenza sulla scena del generale Mori e dei suoi uomini per i colpevolisti è sinonimo di «lavoro sporco». Secondo Roberto Scarpinato, procuratore generale di Palermo, l’abusiva attività di intelligence nelle carceri fu particolarmente grave, in quanto l’Operazione Farfalla era stata predisposta in modo da tagliare fuori proprio la magistratura.
«La Polizia penitenziaria - ha riferito Scarpinato al Copasir - , che ai sensi di legge dovrebbe informare la magistratura, informa invece il Sisde e sarà quest’ultimo a stabilire cosa dire o meno alla magistratura». Il generale Mori conferma che il Sisde voleva una gestione autonoma delle informazioni.
Le fonti del Sisde
L’ex ministro dell’Interno Pisanu sostiene di non essere stato mai informato. «Io - ha riferito - non avevo alcuna notizia precisa sui contatti con singoli carcerati», precisando che era noto che l’ambiente carcerario fosse controllato e «attenzionato» dai Servizi ma non gli era dato conoscere come lo facessero e con quali procedure. Stesso «stupore» da parte dell’allora ministro Guardasigilli, Castelli.
Mori e Tinebra
Alla fine, i sei mesi accertati di Operazione Farfalla, ché tanto sarebbe durata l’azione di avvicinamento verso i capimafia, sarebbe stata un’iniziativa di due amici, Mori e Tinebra. Quest’ultimo sostiene di essersene poi disinteressato. «Il direttore - ha sostenuto Tinebra - si deve accontentare di farsi raccontare il succo, dare una delega e sorvegliare che tutto vada bene, e pregando Iddio che tutto vada bene». Il suo vice Salvatore Leopardi dice invece di averlo informato regolarmente.
Esito fantozziano
L’Operazione Farfalla sembra avere avuto un esito fantozziano: 5 riunioni organizzative tra due funzionari del Sisde e il vicedirettore del Dap Leopardi, 8 capimafia da avvicinare, 13 documenti interni registrati, 1 sola notizia acquisita, nessuna informativa inoltrata ai vertici politici.
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