DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI…
Elena Tebano per il “Corriere della Sera”
Ha rotto il silenzio in serata il leader separatista catalano Carles Puigdemont, poche ore prima che venisse ufficializzato il mandato di cattura europeo preannunciato dal governo spagnolo. Con un profilo più basso però rispetto a quello tenuto solo il giorno prima: niente gesti dimostrativi e nessuna apparizione pubblica, neppure di fronte al gruppetto di indipendentisti dell' Assamblea Nacional Catalana (Anc) che ieri hanno manifestato con un picchetto sulla rotonda che si trova tra la sede della Commissione Ue e quella del Consiglio europeo. Ha scelto invece un' intervista registrata con la tv belga Rtbf : «Sono disposto a candidarmi», ha detto riferendosi alle elezioni straordinarie catalane indette dall' esecutivo di Madrid per il 21 dicembre.
«Posso fare campagna da qualsiasi parte visto che viviamo in un mondo globalizzato», ha aggiunto confermando di non voler rientrare in Spagna, dove rischia fino a 30 anni di carcere, e dove ieri lo aspettava un' udienza di fronte alla Corte Nazionale madrilena.
Nella quale la giudice Carmen Lamela ha stabilito che devono rimanere in carcere otto dei nove politici catalani che si sono presentati, compresi il presidente dell' Assemblea regionale Jordi Sánchez, il numero due di Puigdemont Oriol Junqueras e il leader di Omnium Cultural Jordi Cuixart. Il nono, l' ex ministro locale dell' economia Santi Vila, che si era dimesso per protesta il giorno prima della dichiarazione di indipendenza del Parlamento della Catalogna, è stato rilasciato dopo che ha pagato una cauzione di 50 mila euro.
«Faccio appello ai loro valori democratici e chiedo a tutti i partiti della Spagna di mettere fine a questa terribile situazione che ha fatto finire dei politici in prigione», ha detto ieri uscendo dal carcere di Estremera. Più tardi la giudice Lamela ha firmato anche il mandato di arresto europeo contro Puigdemont e i 4 ministri che sono fuggiti con lui in Belgio, Antoni Comin, Clara Ponsati, Lluís Puig e Meritxell Serret.
Sono accusati di cinque reati: i tre già contestati agli arrestati, cioè «ribellione», «sedizione» e «malversazione», e poi «abuso di potere» e «disobbedienza». La Procura belga ha confermato di aver ricevuto la richiesta della magistratura spagnola, ma ha preso tempo: «Stiamo aspettando la loro traduzione e poi la studieremo», ha dichiarato il portavoce Eric Van Der Sijp.
Lo faranno entro oggi, poi secondo la legislazione europea le autorità belghe dovranno individuare i cinque leader catalani e farli comparire davanti a un giudice, che deciderà se lasciarli a piede libero fino all' esito della domanda di estradizione. Se gli accusati faranno ricorso dovrà pronunciarsi la giustizia belga, in tre gradi di giudizio. Difficile stabilire quanto ci vorrà: non meno di due mesi nel migliore dei casi.
Gli stessi della campagna elettorale per le elezioni catalane. Puigdemont ieri ha affermato di non volersi sottrarre alla magistratura di Bruxelles, che considera più affidabile di quella spagnola: «Ho detto al mio avvocato di riferire alle autorità del Belgio che sono pronto a collaborare - ha detto a Rtbf -. Non fuggirò dalla giustizia. Andrò davanti alle autorità, ma davanti a quelle vere».
Ma certo la sua presenza in Belgio pone non pochi problemi sia al Paese che lo ospita che all' Unione europea. E quella di internazionalizzare la crisi è stata un strategia, forse l' unica, del leader catalano, dopo che Madrid una settimana fa ha destituito il suo governo e ha sciolto il Parlamento.
«Non è un affare interno» ha detto ieri della crisi catalana. Parole molto diverse da quelle della portavoce della Commissione europa, Annika Breidthardt, che ieri aveva definito le richieste di arresto per i leader catalani «questioni per le autorità giudiziarie» nazionali: «Le autorità giudiziarie - ha ribadito - sono indipendenti. Rispettiamo questa indipendenza».
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