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Martedì prossimo, 18 ottobre, Matteo Renzi sarà a Washington per un pranzo con Obama. Sarà una giornata complicata, e non solo per il premier italiano. Per quel giorno sono, infatti, attese le più pesanti rivelazioni di Wikileaks contro la Clinton.
Perchè il 18? Perchè, il giorno dopo è in programma il terzo e ultimo confronto televisivo con Donald Trump, e Assange non vuole dare il tempo alla stampa – clamorosamente accucciata sotto la scrivania di Hillary – di reagire e dare uno 'spin' alle notizie compromettenti che emergeranno.
Non è un mistero per nessuno che Assange abbia un odio viscerale per gli Stati Uniti: l'australiano sa che c'è un grand jury che ha già preparato un'inchiesta su di lui ad Alexandria in Virginia, e che nel momento in cui mette piede fuori dall'ambasciata ecuadoriana di Londra è pronta l'estradizione.
Ed è noto anche il suo rapporto speciale con Vladimir Putin, e con gli hacker protetti dal governo russo che avrebbero violato i server del partito democratico. D'altronde, è Mosca a dare asilo a Snowden, l'ex funzionario della Cia che nonostante i film di Oliver Stone e le petizioni dei vip, a Washington vogliono processare per tradimento.
E' tutto un vecchio gioco di ''il nemico del mio nemico è mio amico''. Così lo Zar del Cremlino manifesta continuamente una netta preferenza per il palazzinaro. E’ convinto che se arrivasse alla Casa Bianca sarebbe possibile ripristinare quel dialogo fra superpotenze, ora interrotto con Obama, da una posizione di vantaggio. Con un presidente (ancora più disinteressato) delle questioni internazionali, con un chiaro mandato dai suoi elettori a non impicciarsi degli affari altrui, si potrebbe rispolverare Yalta, per una definizione delle aree di competenza; oppure, una nuova Pratica di Mare: a seconda dei gusti.
Di riflesso, l’eventuale vittoria della Clinton finirebbe per aumentare le tensioni tra Usa e Russia: da qui, l’invito ai suoi sudditi di fare provviste in vista di chissà quale possibile scontro con l’Alleanza atlantica.
E a proposito di Alleanza atlantica, dalle parti di Langley stanno osservando con preoccupata attenzione le relazioni sempre più strette fra Putin ed Erdogan. Innanzitutto perchè Ankara è membro fondamentale della Nato. Anzi, è la frontiera col Medio Oriente.
peshmerga curdi combattono isis in iraq
Erdogan ancora non si è tolto dalla testa che il tentativo di golpe sia stato avallato proprio in ambito Nato. Non è un caso che abbia fatto mancare la corrente elettrica alla base di Incirlik, da cui partono i raid Usa contro le postazioni Isis in Irak. E da cui sarebbero partiti i caccia che lo avrebbero dovuto abbattere. Quindi, è pronto a fare un accordo con un (ex) nemico pur di andare contro l’Alleanza atlantica.
Putin gli avrebbe garantito una copertura politica, e non solo, di fronte al problema curdo. Una santa alleanza Turchia-Russia contro la minoranza finanziata dagli americani per combattere l’Isis in Irak e Siria.
La situazione è completamente ribaltata rispetto a pochi mesi fa, quando la Russia era schieratissima con gli sciiti – Iran e regime di Assad in Siria – e rivelava gli affari petroliferi che la famiglia Erdogan fa con i sunniti dello Stato Islamico, aiutato e protetto di nascosto (manco tanto) da Ankara. Oggi invece i due si sono riavvicinati come se nulla fosse, grazie come al solito ad affaroni miliardari (si parla di gasdotti), e l'Occidente non può che continuare a tollerare le giravolte dei due puzzoni, visto che Erdogan si tiene i migranti e Putin fa il lavoro sporco in Siria.
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