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Ugo Magri per "La Stampa"
Una via di scampo dev'essere balenata agli occhi di Berlusconi, forse una concreta possibilità di salvare il salvabile della sua immagine pubblica, della vita privata, delle aziende. Altrimenti come spiegare l'improvviso, imprevedibile cambio di toni e di umore ad Arcore, dopo la nota serale del Quirinale?
à come se da quelle parti fosse arrivato un segnale ansiosamente atteso da lui, dal Cavaliere in persona. La conferma che con Napolitano un dialogo è ancora possibile, nel rispetto reciproco, si capisce. Che la grazia non è una chimera agitata dalle «colombe» per chissà quale secondo fine. Che insomma lo scontro all'ultimo sangue, la crisi di governo, forse le elezioni non sono l'ultima disperata risorsa prima di soccombere...
Adesso, di colpo, tacciono trombe e tamburi. Il messaggio televisivo che Silvio aveva in animo di lanciare su tutte le reti domenica, con una polemica furibonda contro le «toghe rosse» di Magistratura democratica, risulta in forse, non è detto che mai lo farà ; e sebbene, giura la Santanché, sia già stato registrato, quel discorso incendiario può ancora essere corretto, limato, ammansito.
Neppure c'è garanzia che lunedì mattina il Cavaliere risponda su Canale 5 alle domande di Belpietro, e che nel pomeriggio si rechi alla kermesse di Sanremo, organizzata dal «Giornale», per rispondere alle domande del direttore Sallusti: al momento questa trasferta non è annotata in agenda, le scorte, gli autisti, eccetera debbono essere ancora allertati. «Se il Presidente vuole andare ce lo comunicherà », è il sussurro di chi gli sta vicino.
Non ha deciso se recarsi a Sanremo, tantomeno se far saltare il banco della politica. Potrebbe, volendo. Ma non è detto. Nell'eterno pendolo berlusconiano, e all'insaputa del gruppo dirigente Pdl senza distinzione tra «falchi» e «colombe», ieri sera la crisi era più no che sì. Napolitano scongiura il Cavaliere di non sottoporre l'Italia a questo stress.
Gli riconosce un ruolo di leader determinante per il bene comune, altro che pregiudicato da affidare alle patrie galere. Addirittura gli fa intendere tra le righe della nota tracimata dal Colle che lassù nessuno sta brigando per rimpiazzare il Pdl, nel malaugurato caso di crisi, con qualche maggioranza raccogliticcia (il governo Letta-Scilipoti non è dietro l'angolo).
Qualcuno molto addentro sostiene che in tutto questo ci sia lo zampino di Confalonieri. Mercoledì pomeriggio, il presidente Mediaset era stato avvistato negli uffici di Gianni Letta, a pochi passi dal quartier generale Pd. Ieri mattina Fidel è scomparso senza lasciare traccia.
Nelle stesse ore il Presidente della Repubblica si allontanava dal Quirinale e, sebbene ne manchino le conferme ufficiali, fonti berlusconiane si azzardano a sostenere che vi sarebbe stato un colloquio seguito nel pomeriggio da un altro incontro, stavolta protagonista Letta (lo zio, non il nipote Enrico). Quando sono in gioco questioni serie, a cominciare dalla stabilità politica con una guerra vera alle porte, non c'è da stupirsi che la diplomazia si metta al lavoro.
Così la giornata si è chiusa in una chiave meno drammatica di come l'aveva impostata il capogruppo Pdl Schifani, annunciando sfracelli. A cena è arrivato il capo dei negoziatori Pdl, Alfano.
E addirittura adesso c'è chi, tra le persone più care del Cavaliere che sono i figli e la compagna Francesca, si spinge a fantasticare un pubblico discorso in cui Napolitano riconosca a Berlusconi l'onore delle armi, gli prometta la grazia per l'oggi e per il domani, gli chieda in cambio di tornare nella trincea del lavoro e dell'impresa da dove aveva iniziato, dicendo definitivamente addio alla politica... Se il Capo dello Stato avesse questo coraggio, assicurano gli intimi, lui mollerebbe senza esitare «falchi» e «colombe» al loro destino, scegliendo la libertà .
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