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Riccardo Torrescura per "la Verità"
fedele toscani Indro Montanelli
L' 11 ottobre del 1940, sul Corriere della Sera, la parole di Indro Montanelli si susseguono commosse. «Codreanu era alto un metro e novanta, e aveva spalle in proporzione», scrive il grande cronista. «Il collo, forte alla base, gli si snelliva in alto e l' attaccatura alla testa era gracile e delicata, quasi da fanciulla. Il viso era ovale e puro, sempre serio, con due rughe sottili fra le sopracciglia le quali erano nere e folte. I capelli invece erano castani lunghi in disordine.
La bocca smerlata e piccola. Il naso greco. E gli occhi. Gli occhi erano, con la voce calda e sonora, la cosa più bella di Codreanu: avevano il colore della turchese, due grandi turchesi incastonate in orbite fonde, fermi, velati di tristezza. Erano occhi delicati, sensibili alle correnti d' aria che glieli arrossavano di frequente».
Montanelli, assunto dal giornale di via Solferino da un paio d' anni, si trova a Bucarest, in Romania. Non è molto soddisfatto di come gli vanno le cose, tanto che invia lettere di lamentela ad Aldo Borelli, direttore del Corriere: «Dovete credermi», gli scrive, «lo star qui a non far nulla mentre tutti gli altri miei compagni lavorano intorno alla guerra mi dà la sensazione di essere qualcosa di mezzo fra il ladro e il disertore». Da Bucarest - come scrivono i biografi montanelliani Sandro Gerbi e Raffaele Liucci - Indro «in mancanza di meglio manda alcuni pezzi su Corneliu Codreanu e i suoi seguaci».
montanelli intervistato da enzo biagi
Opinione precisa
Gerbi e Liucci hanno un' opinione ben precisa del fondatore della Guardia di ferro, nato nel 1899 e morto strangolato assieme a numerosi suoi compagni il 30 novembre del 1938. Lo definiscono un «cristiano antisemita e ipernazionalista» e spiegano che «con l' avvento del dittatore Antonescu nel settembre del '40 le Guardie di ferro erano momentaneamente tornate in auge [...] e spadroneggiavano nel Paese, con brutali azioni repressive nei confronti di avversari politici ed ebrei».
Forse è per questo motivo che i due biografi non scendono troppo in profondità nella descrizione degli articoli che Montanelli inviò al Corriere in quel periodo.
Eppure, Indro a quei pezzi sembra tenere molto, a Borelli spiega che sono di grande interesse perché, proprio in quei giorni, «il Duce passa in rivista i legionari romeni a Padova».
Gli articoli sullo «squadrismo romeno» sono stati ora raccolti dalle edizioni di Ar nel volume intitolato Da inviato di guerra, a cura di Claudio Mutti. È quest' ultimo a raccontare come sia nato il libro: «Nel 1989 un professore di italiano di Budapest, Ferenc Parcz, raccolse in un volumetto le corrispondenze che Indro Montanelli aveva inviate dall' Ungheria al Corriere della Sera nei giorni della rivolta del 1956», scrive Mutti.
«L' iniziativa editoriale dell' insegnante budapestino mi indusse a concepire un progetto analogo; scrissi perciò a Montanelli, che all' epoca era ancora direttore del Giornale, chiedendo il suo consenso a pubblicare gli articoli che tra l' agosto e l' ottobre del 1940 egli aveva inviati al Corriere dalla Romania e dall' Ungheria».
Gentile rifiuto
La proposta, tuttavia, non fu accolta benissimo. «Qualche giorno dopo, il 29 settembre 1993, ricevetti una telefonata dalla signora Colette Rosselli, la quale mi preannunciò una comunicazione di suo marito Indro», dice Mutti. «Questi esordì profondendosi in espressioni di grande ammirazione per Corneliu Codreanu ("una figura straordinaria, unica"). Quindi mi ricordò che Horia Sima (capo della Guardia di ferro, ndr) era stato un collaboratore del Giornale: era evidente che faceva confusione con Vintil Horia (1915-1992), il quale effettivamente aveva scritto per il foglio montanelliano.
Infine venne al dunque: quegli articoli, disse, erano semplici "pezzi di colore", "articoli d' occasione" privi d' ogni valore, che non meritavano affatto di essere ristampati. E poi, aggiunse, la loro pubblicazione era da sconsigliarsi, perché avrebbe provocato un "pasticcio giuridico", in quanto proprietaria dei diritti era la Rizzoli».
Fatto sta che ora la raccolta di pezzi ha finalmente visto la luce, e forse s' intuisce il motivo per cui Indro non gradiva che i suoi articoli di inviato ancora agli inizi fossero recuperati. Il pezzo dell' 11 ottobre 1940 è un peana dedicato al defunto Codreanu, intitolato «Codreanu e i suoi vendicatori. Il gigante sobrio che amava il mare, la montagna e l' arte del muratore».
«Codreanu era sobrio fino all' astinenza», racconta Montanelli. «Codreanu non aveva nessuna idea del denaro. Non lo disprezzava nemmeno, non lo capiva. Ecco perché non ne aveva mai. Per i bisogni dell' organizzazione, lasciava fare agli altri, che avevano molta pena a impedirgli di fare passi più lunghi della gamba e spesso erano costretti a disubbidirgli». In un servizio successivo, Indro racconta la sua visita al penitenziario di Jilava, «lo Spielberg romeno», dove sono rinchiusi gli assassini di Codreanu.
montanelli cervi la fondazione del giornale
Le descrizioni dei killer sono particolarmente colorite. Uno è descritto come «piccolo, grassottello, col viso acceso dall' alcole, grosso papavero della massoneria, ricco a milioni»; l' altro è «grasso, olivastro, occhi torbidi e strabici, la sua cella profumava come l' alcova di una cocotta»; un terzo è «piccolo, grasso, occhi a fior di pelle, pare un gorilla».
Fuori gli stranieri
Piuttosto sanguigne sono anche le frasi utilizzate da Montanelli nel comporre un altro articolo, datato 3 agosto 1940 e inviato sempre da Bucarest. Il pezzo parla della cacciata di una serie di influenti stranieri dal territorio romeno. Si intitola: «Gli "déi" se ne vanno. Un torbido mondo di furbi ebrei, di inglesi intriganti; di francesi accaparratori, di falsi giornalisti, di banchieri senza scrupoli e di politicanti è in via di liquidazione».
L' attacco è potente: «Il 26 luglio una ennesima lista di proscrizione bandiva dalla Romania dodici francesi ritenuti indesiderabili», scrive Montanelli. «La misura veniva dopo quella, analoga, che a suo tempo colpì ventisette inglesi e quella che fece mettere alla polizia le mani addosso a una banda ebraica trafficatrice di valute. La Romania si purga e gli dèi se ne vanno, diceva una guardia di ferro mio amico».
Poi aggiunge: «Tutte queste partenze hanno provocato qualche lutto: nei tabarini, in Borsa e in certi salotti di Bucarest che si danno l' aria di costituire "la buona società romena", e che sono quanto di meno buono esiste in Romania. Codesta "buona società" è composta per un buon cinquanta per cento di ebrei, e per l' altro cinquanta per cento di elementi che, per avere studiato a Parigi, sanno all' incirca cos' è la Francia, ma ignorano altrettanto bene cos' è la Romania. I primi sono in liquidazione.
Una legge, allo studio, sta per sancire l' epurazione del Paese: ma l' epurazione è già cominciata da tempo, da quando cioè si delineò in maniera chiara la disfatta delle Potenze occidentali. Uno dopo l' altro, i pezzi grossi della cricca giudaica presero il largo».
Linguaggio pesante
Poco oltre si legge: «La cricca giudaica, e il codazzo di giornalisti, banchieri e politicanti che la seguivano e se ne nutrivano, aveva due quartieri generali che la ricollegavano alle centrali di Parigi: uno era la loggia massonica ora disciolta, l' altro il blocco finanziario anglo-francese, costituito dalla Banca Commerciale Romena (filiazione della Banque Union Parisienne) e dalla Bank of Romania, la cui sede centrale è a Londra.
Con molta furberia gli ebrei che dominavano questi due organi non vi apparivano: dentro la loggia la facevano da dittatori Argentarianu, Pangal, e qualcuno dice anche il Principe Bibescu, che, avendo sposato una Asquith, parla inglese con accento di Oxford».
Ovviamente, bisogna tenere sempre presente il momento storico in cui questi articoli sono stati scritti. Un periodo della carriera che, probabilmente, Montanelli non gradiva moltissimo ricordare.
In ogni caso, come specificano Gerbi e Liucci, dopo i pezzi su Codreanu, Indro fu finalmente accontentato: nell' ottobre del 1940, la direzione del Corriere della Sera lo richiamò a Milano. Da dove, poche settimane dopo, sarebbe partito alla volta del fronte greco-albanese.
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