DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Questa inchiesta è stata condotta da giornalisti del Lena (Leading European Newspaper Alliance), Alleanza di cui La Repubblica fa parte con Die Welt, El Pais, Le Figaro, Le Soir, Tages-Anzeiger e Tribune de Genève Il servizio di queste pagine è stato realizzato da: Carlo Bonini, Nicola Lombardozzi e Jenner Meletti (La Repubblica), Jörg Eigendorf, Andreas Maisch, Andre Tauber ed Eduard Steiner (Die Welt), Mario Stäuble (Tages-Anzeiger), Claudi Pérez (El Pais) Pierre-Alexandre Sallier (Tribune de Genève)
La crisi con la Russia aperta dalla battaglia delle sanzioni costerà ai Paesi dell’Unione Europea e alla Svizzera un prezzo di gran lunga più alto delle previsioni. Uno studio condotto in esclusiva per il Lena (Leading European Newspaper Alliance) dal Wifo (Osterreichisches Institutfur Wirtschaftsforschung, Istituto austriaco per la ricerca economica), documenta come in tutta Europa siano a rischio due milioni di posti di lavoro e circa 100 miliardi di euro in valore aggiunto nell’export di beni e servizi.
INCONTRO TRA PUTIN E OBAMA DURANTE IL G
La ricerca del Wifo prende in considerazione il «peggiore degli scenari». «Il calo delle esportazioni dai Paesi Ue che avevamo ipotizzato nell’autunno dello scorso anno come scenario estremo — spiega Oliver Fritz, uno dei tre estensori della ricerca — è ormai realtà. E le sanzioni alla Russia e la risposta di Mosca hanno un ruolo decisivo. Se la situazione non dovesse mutare radicalmente, è prevedibile che le nostre ipotesi più fosche diventino realtà». Un solo fattore potrebbe attutire l’impatto: l’aumento delle esportazioni verso altri Paesi. E, in questo senso, ci sarebbero già dei segnali, quanto meno relativamente ai prodotti agricoli.
putin e il teatro delle marionette obama poroshenko merkel
Mercoledì scorso, gli ambasciatori dell’Unione europea hanno concordato la proroga delle sanzioni alla Russia di ulteriori sei mesi, con una scadenza fissata a fine gennaio 2016, anche se la decisione finale spetta al Consiglio dei ministri degli esteri che si riunirà lunedì prossimo: tre giorni dopo l’intervento di oggi al Forum economico internazionale di San Pietroburgo del Presidente russo Vladimir Putin.
Proprio Putin aveva minacciato che le sanzioni che stanno mordendo la Russia per l’aggressione all’Ucraina avrebbero comportato gravi conseguenze anche per le economie nazionali dei paesi Ue. E le minacce sembrano oggi avverarsi. Nella sola Italia, secondo le stime del Wifo, sono in gioco nel breve periodo (primo timestre di quest’anno) 80mila posti di lavoro e quattro miliardi e 140 milioni di euro in valore aggiunto creato dall’export, mentre nel lungo periodo il calo di occupazione sarà di 215mila posti di lavoro e quello del valore aggiunto della produzione di 11 miliardi e 815 milioni di euro.
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Secondo lo studio, se le condizioni generali del ciclo economico e l’andamento delle esportazioni verso la Russia non dovessero mutare rispetto al primo trimestre di quest’anno, la crisi potrebbe costare in termini di produttività a medio termine solo per la Germania qualcosa di più di un punto percentuale. Nessun’altra grande economia nazionale europea sarebbe colpita in questo modo. Seguirebbe l’Italia con la perdita di più di 200.000 posti di lavoro e un calo della produttività dello 0,9 per cento.
Mentre, in Francia, i posti di lavoro perduti sarebbero 150.000 e la riduzione della produttività dello 0,5%. Le premesse e le conclusioni della ricerca commissionata al Wifo sono significativamente diverse rispetto a quelle consegnate il 27 maggio scorso dal rapporto interno sulle sanzioni redatto dalla Commissione Europea, che gli inviati di Lena hanno potuto consultare.
La Commissione, basandosi su dati Eurostat, sostiene infatti che le sanzioni avrebbero sull’economia europea solo un impatto limitato e non influirebbero su gran parte delle esportazioni, dal momento che il divieto di esportazione riguarderebbe solo una parte dell’export di armamenti e una ristretta gamma di prodotti e beni di consumo. Insomma, un impatto relativamente «modesto e gestibile», grazie anche a un incremento dell’export agricolo verso altri paesi, con un outlook addirittura positivo, secondo cui il calo del Pil 2015 dell’Unione sarebbe limitato allo 0,25 per cento.
Le diverse conclusioni della ricerca del Wifo e della Commissione si spiegano nei loro diversi presupposti e nei fattori presi in considerazione. La Commissione limita l’analisi al breve, scommettendo su un’attenuazione degli effetti negativi. Il Wifo, al contrario, ipotizza un perdurare della situazione negativa oltre il primo trimestre 2015 e tiene conto dei cosiddetti effetti collaterali della crisi, dati dall’aumento della disoccupazione e dalla riduzione della domanda. Il che appunto significa che sono potenzialmente a rischio nell’Unione circa 1,9 milioni di posti di lavoro e quasi 80 miliardi di euro in valore aggiunto della produzione.
Anche Eckhard Cordes, presidente del Ost-Ausschusses der deutschen Wirtschaft, il Comitato dell’Economia Tedesca per l’Europa dell’Est, considera attendibile lo scenario peggiore: «Il primo trimestre del 2015 è un indicatore valido per valutare la situazione — spiega — Fino a quel momento, a partire dalla primavera del 2014 eravamo in caduta libera.
Adesso potremmo andare ancora più giù. Ma ancora non lo sappiamo». Per altro, come osserva ancora Oliver Fritz, economista del Wifo, è impossibile limitare alla sola economia russa l’impatto complessivo delle sanzioni, del calo del prezzo del petrolio e del crollo del rublo. «Noi — dice — prendiamo in esame la totalità delle attività di importazione russe. E siamo convinti che le sanzioni esercitino un notevole influsso negativo, considerando anche la reazione della Russia alle misure Ue».
Nell’agosto dello scorso anno, il Cremlino ha vietato l’importazione dall’Unione Europea di molti prodotti agricoli e alimentari come latte, frutta, verdura, formaggio e carne. Il provvedimento ha colpito duramente soprattutto paesi come l’Italia, la Spagna e l’Olanda. Con un comparto agricolo e alimentare che si avvia a registrare il calo più forte, data la possibile perdita di 265.000 posti di lavoro, appena superiore al commercio (225.000 posti di lavoro in meno).
Del resto, forti critiche al monitoraggio Ue delle sanzioni vengono mosse anche da altri esperti. «L’Unione Europea non dispone di indici di riferimento o di modelli per misurare l’efficacia delle sanzioni», sostiene Borja Guijarro-Usobiaga della London School of Economics. E, quanto meno, è innegabile un deficit di informazione.
Il lavoro di inchiesta del Lena a Bruxelles ha infatti accertato che se è vero che la Commissione riceve dagli stati membri i dati “nazionali” sulle conseguenze economiche delle sanzioni, è altrettanto vero che quei dati vengono trattati in maniera confidenziale. Ne sono allo oscuro i deputati europei, cui è ignoto anche il rapporto della Commissione. Fino al punto che persino i ministeri degli stati membri verrebbero edotti solo verbalmente “per evitare fughe di dati” che consegnino ai russi importanti informazioni sulle sanzioni.
Che del resto, e in modo speculare, sono un segreto anche a Mosca. Gli unici dati certi sul conto pagato dall’economia russa a seguito delle sanzioni indicano che la Banca centrale russa ha sin qui bruciato 150 miliardi di dollari delle proprie riserve, mentre sarebbe di 140 miliardi di dollari il conto pagato per la flessione dell’export verso l’Ue e il ribasso repentino del prezzo del petrolio.
Appaiono invece un fallimento le sanzioni Ue contro singoli cittadini di Russia, Ucraina e Crimea (politici, manager, responsabili dei Servizi di intelligence) inseriti lo scorso anno dalla Commissione Europea in una apposita lista di “obiettivi” cui è stato vietato l’ingresso nella Ue e i cui beni in territorio Ue dovrebbero essere congelati. La Commissione Europea si è dichiarata non in grado di quantificare il valore dei depositi bancari, degli immobili e dei patrimoni congelati. «Le sanzioni vengono applicate negli stati membri» è stata la laconica risposta di un portavoce. I dati sono esigui.
Paesi come Spagna, Malta, Finlandia, Croazia, Slovenia, Slovacchia, Ungheria e Lituania non hanno proceduto ad alcuna confisca. E dove questo è al contrario avvenuto, il bottino è ben magro. In Germania sono stati confiscati due cavalli da corsa al Presidente della Repubblica di Cecenia, Ramsan Kadyrow. Mentre, interpellata dai gironalisti di Lena, la “Bundesbank” ha ammesso di aver congelato solo 124.346 euro. Qualche migliaio di euro in più di Cipro, storica sede di società e di depositi degli oligarchi. Qui, gli euro congelati sono stati 120.000.
Alla fine, il Paese più efficace nella caccia si rivela proprio l’Italia e il più colpito il miliardario russo Arkadi Rotenberg, inserito a luglio 2014 nella lista delle sanzioni. Il Nucleo Valutario della Guardia di Finanza italiana gli ha sequestrato appartamenti, ville e un hotel a Roma, per un valore complessivo di 30 milioni di euro.
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