RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
DAGONOTA
Alla base del pressing del Pd e di Renzi ci sono due richieste, già comunicate alla parte grillina e per cui Di Maio ha rassicurato che non si strapperanno le vesti, anzi stapperanno champagne...
La prima è del Pd che vuole reintrodurre le due vicepresidenze. La maggioranza si è stancata di vedere un premier debole giocare a nascondino, di apparire solo quando gli fa comodo, di ignorare il logoramento del Parlamento. Per l’alleanza di governo lo schiavo di Casalino è ormai una narcisa anatra zoppa che non è riuscita risolvere nessun problema: sulla prima scrivania di Palazzo Chigi brillano i dossier di Autostrade, Ilva, Alitalia, Mes, Recovery, Rete Unica, Montepaschi, etc.
NICOLA ZINGARETTI E GIUSEPPE CONTE
Ma soprattutto si sono svegliati i giornaloni - vedi gli editoriali di Stella sul Corriere e di Folli su Repubblica - che si sono resi conto, in duplex con Mattarella, della inadeguatezza di Conte e del suo “cerchio marcio” a governare la pandemia. Una seconda ondata era annunciata fin da aprile e il governo aveva tutto il tempo necessario per approvvigionarsi di tamponi, vaccini, mezzi pubblici, etc. Non basta allungare all’infinito lo Stato di Emergenza per restare incollato alla poltrona.
MARIA ELENA BOSCHI E MATTEO RENZI
La seconda richiesta è di Italia Viva: portare avanti le riforme e ottenere un ministero più solido, come si evince dall’intervista di Maria Elena Boschi, oggi, a Repubblica.
E sembra che Conte da queste spinte sia preoccupatissimo, un’ansia che avrebbe iniziato a comunicare anche a Casalino: questi ci vogliono far fuori, dobbiamo stare attenti.
IL BLITZ DI IV BLOCCA IL VOTO PER I 18ENNI AL SENATO IRA PD: CERCANO IL RIMPASTO `
QUIRINALE REPARTO MATERNITA' BY MACONDO
Emilio Pucci per “il Messaggero”
Ecco il casus belli'. Alla Camera Italia viva fa slittare il via libera alla proposta di legge per estendere ai diciottenni il voto per il Senato e la fotografia di una maggioranza spaccata, in sofferenza per i numeri, diventa ancora più nitida. Non c'è (ancora) aria di crisi ma Renzi chiede una verifica e il Pd non nasconde l'irritazione nei confronti del premier Conte perché - questa la tesi - non esercita la funzione di capo dell'alleanza.
sergio mattarella parla con dario franceschini e nicola zingaretti
Già due giorni fa le prime avvisaglie della tensione: i rosso-gialli superano la prova del voto sullo scostamento al Bilancio grazie all'apporto del gruppo misto, con numerose assenze M5s a Montecitorio; poi nel vertice sulla manovra il mal di pancia di Iv che lamenta di non essere coinvolta e allora la semplice richiesta, reiterata da giorni, di convocare un tavolo di maggioranza si trasforma in uno sgambetto sul voto sui diciottenni al Senato.
Questione di metodo innanzitutto, dice la Boschi: «Ci sia una visione d'insieme e non si vada avanti senza un progetto unitario». Tradotto: basta bandierine e propaganda, discutiamo di tutto, a partire dal taglio delle tasse, dalla legge elettorale e dai correttivi da apportare dopo la riduzione del numero dei parlamentari.
Ma il Pd non ci sta e per il capogruppo Delrio «Serve un chiarimento. Sia Conte a farsi garante» dice convocando i suoi. Sulla stessa lunghezza d'onda il Nazareno: «Il premier si faccia carico della situazione», sottolinea il vice segretario Orlando. E il renziano Faraone prende la palla al balzo: «Ci associamo».
Insomma i dem non condividono lo strappo Iv in Parlamento ma il pressing sul presidente del Consiglio è convergente. Perchè, dice il dem Borghi, «Conte non è un passante». Zingaretti nei giorni scorsi era tornato a chiedere un patto di legislatura, mantiene un dialogo aperto con il premier, Renzi e Di Maio, ma si aspetta quel cambio di passo che dopo le Regionali non è avvenuto.
Giuseppe Conte e Lucia Azzolina by Osho
«Per Conte questo è il governo migliore? Bene, ma si facciano le cose perché così non si va avanti», taglia corto un big del partito. La stessa insofferenza che si avverte dalle parti di Renzi che per ora non tira la corda ma fa pesare i suoi numeri decisivi, in un momento in cui una parte M5s è di nuovo attraversata da pulsioni anti-governative.
«Ci siamo fermati e abbiamo detto: ridiscutiamo di tutti i dossier. Altrimenti vedo un quadro da sabbie mobili» la spiegazione del senatore di Rignano. In Commissione intanto si sono fermati i lavori sulla legge elettorale e Fornaro (Leu) ha chiesto di sospendere l'iter della riforma costituzionale.
giuseppe conte sergio mattarella
«Zingaretti e Di Maio dovrebbero ringraziarci. Sono scontenti come noi ma così non hanno lasciato tracce», osserva un fedelissimo dell'ex premier che ad una revisione del governo ci pensa («Ci sarà entro Natale», confida ai suoi interlocutori) ancora.
GRAZIANO DELRIO NICOLA ZINGARETTI ENRICO STEFANO
In realtà il governatore del Lazio non è in prima fila a chiedere il rimpasto ma sulla necessità di una svolta è d'accordo. I dem dopo le Regionali hanno ottenuto le modifiche ai dl sicurezza ma sugli altri temi in agenda - a partire dal Mes - accusano il premier di giocare una partita in solitaria e di non svolgere il ruolo di garante.
GIUSEPPE CONTE E LA PUBBLICITA ALLE CRAVATTE
Il fatto è che Conte con il Covid in corso e in attesa degli Stati generali M5s, non si può permettere di aprire la verifica. Il suo no al rimpasto è risaputo, così ha fatto capire ai leader della maggioranza di essere disponibile ad un incontro ma ha chiesto di andare avanti e di mettere fine ai tatticismi. Al momento però non è agenda alcuna riunione. E la rabbia di Pd e Iv monta.
STRAPPI E RINVII FANNO CRESCERE LA TENSIONE TRA CONTE E PD
Massimo Franco per “il Corriere della Sera”
In apparenza è solo l'ennesimo scarto di Italia viva rispetto ai patti siglati col resto della maggioranza. E, di rimbalzo, l'ultimo episodio di una tensione cercata a tavolino col Pd e col governo di Giuseppe Conte.
Ma lo strappo renziano di ieri alla Camera contro il voto ai diciottenni sta rivelando un malessere più profondo. E riguarda non tanto i rapporti tra il partito di Nicola Zingaretti e quello di Matteo Renzi, quanto il ruolo del premier e la sua capacità di gestire i passaggi più conflittuali della sua coalizione.
Insomma, il problema non è solo e tanto Iv con la sua tattica corsara, nella speranza magari di strappare un rimpasto e un ministero. Il tema è anche il rapporto tra Conte e il Pd, di fronte alla tendenza all'immobilismo che Palazzo Chigi non solo teorizza ma pratica.
Dopo l'affermazione alle Regionali, gli alleati avevano chiesto al presidente del Consiglio se non occorresse registrare qualcosa per proiettare l'esecutivo verso il resto della legislatura. Conte aveva risposto che andava tutto bene.
Meglio: che era meglio non toccare nulla. Il timore era che qualunque modifica nella traiettoria governativa potesse fare esplodere i Cinque Stelle, lacerati e spaventati dalle sconfitte elettorali. Ma l'episodio di ieri, con Iv che si smentisce dopo avere assicurato il 6 ottobre il sì al voto dei diciottenni per l'elezione dei senatori, conferma che lo status quo potrebbe non bastare più.
Per questo si sente dire che occorrerebbero adesso gli Stati generali dell'economia: quelli che Conte volle a giugno, trasformatisi in una passerella senza seguito. Con i soldi del Fondo europeo per la ripresa in vista, invece, non si sa ancora come saranno spesi, e con quali progetti.
Si indovina la frustrazione di un Pd che vede un premier in prima fila quando si tratta di incassare risultati, ma incline a defilarsi davanti ai problemi. Dopo il voto di ieri, l'impressione è che il partito di Zingaretti voglia che sia Palazzo Chigi a risolvere la questione; e dunque a affrontare un'Iv che rivendica di essere «determinata e determinante»: dove il secondo aggettivo tradisce l'intenzione di far pesare la sua pattuglia parlamentare in una fase di incertezza sui numeri della maggioranza.
Non è detto che significhi in modo automatico un rimpasto. Forse non si arriverà nemmeno a una verifica nella coalizione. Ma certo si tratta di un'altra prova delle difficoltà di un'alleanza già di per sé complicata; e dello scontento di un Pd sempre più convinto di avere assunto un ruolo centrale, senza che questo gli porti risultati né sulla riforma elettorale, nè sulle prospettive dell'alleanza con i Cinque Stelle. Per Conte, sono segnali di uno status quo che presto potrebbe rivelarsi non un vantaggio, ma un peso insostenibile.
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