CON RE GIORGIO C’È POCO DA FESTEGGIARE: EPOPEA DEL CAFONAL-QUIRINAL

Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"

Più sobri di così si muore. Appunto. E tuttavia, dopo la scomparsa e perciò con il più classico senno del poi, viene da pensare che già l'anno scorso ce n'era abbastanza per intuire che il ricevimento del 2 giugno nei giardini del Quirinale non godeva più di buona salute e stava andando incontro al suo destino.

O almeno: l'ultima volta era bastata una piccola nota del Codacons per determinare una lunga messa a punto con cui la Segreteria Generale della Presidenza della Repubblica dava conto di un cospicuo ridimensionamento dei costi e, visto che c'era, anche del buffet, degradandolo a "rinfresco rinforzato".

Seguiva, anche in nome della trasparenza, un meticoloso elenco di quanto «definitivamente offerto ai partecipanti»: crostini, canape's, panini, focaccine, formaggi». Mozzarella e ricotta, era specificato, provenivano dal coordinamento «Libera», come del resto le verdure del cous-cous e i vini, ma non il parmigiano né la provola. Le provviste avanzate erano andate in dono al Banco alimentare di Roma.

Non solo, ma se ai tempi di Pertini all'ingresso del Palazzo delle crocerossine in alta uniforme porgevano agli ospiti delle allegre coccarde tricolori, nel 2012, anno montiano di crisi e di austerità, erano moduli di conto corrente per una sottoscrizione per i terremotati dell'Emilia. «Io - diceva il ministro Giarda - avrei fatto pagare un ticket da mille euro».

Ciò nonostante, Di Pietro ebbe a che ridire giacché a suo giudizio le torte, i pasticcini e lo champagne erano comunque «offensivi» per gli sfollati, configurandosi piuttosto come «il trionfo dello sfarzo della casta». Al che il presidente Napolitano si dovette seccare molto.

Ed eccoci alla fine della festa. O se si preferisce alla cerimonia, la quale ha certamente un'ambientazione fantastica - corazzieri a cavallo, staffieri decoratissimi, signore in abiti di seta, bisbigli e inchini sui vialetti di ghiaia all'ombra di alberi secolari - ma anche una storia lunga e per la verità non sempre interamente dedita al mutuo riconoscimento dei mille o duemila potenti. Per dire: Saragat aprì il party al popolo, o suppergiù, prevedendo oltre 10mila (c'è chi dice 20 mila) inviti in quella che nella seconda metà degli anni 60 ancora
non si chiamava società civile.

Sennonché scabrosi inconvenienti, tipo l'immane furto di cucchiaini o una signora completamente ciucca ritrovata la mattina dopo dentro una siepe di mortella, sconsigliarono la formula aperta. E con Leone, dal 1971, si ritornò agli ospiti selezionati. A questo periodo si riferisce una descrizione, terribile, del ricevimento da parte di Pier Paolo Pasolini nel suo postumo e incompiuto Petrolio: «In cerchi concentrici attorno al Capo dello Stato, il verminaio era tutto un agitarsi di capini ora pelati ora canuti, ora folti e ora radi: ma tutti assolutamente dignitosi».

Con Pertini le porte del Colle si aprirono allo spettacolo (Arbore e Monica Vitti). Con il primo Cossiga, quello mansueto che regalava agli invitati i Pensieri di Leopardi con la sua introduzione, il party più nettamente si estese alla tv. Più tardi, al tempo delle picconate, l'occasione causò brividi, boicottaggi (su iniziativa di Luigi Pintor) e assenze diplomatiche (Vespa, De Mita e Mancino, appena maltrattati).

Nel 1991, sui gradini che portano alla Coffèe House, il Sancta Sanctorum del ricevimento, amaramente Cossiga s'intrattenne con Paolo Villaggio: «Vorrei scrivere un soggetto gli disse - sugli orrori del Quirinale», e sardonico aggiunse che la vita del presidente, cioè la sua, era senz'altro peggio di quella di Fantozzi.

Scalfaro ricondusse il tutto in un ambito più istituzionale. Ciampi avviò la consuetudine del concerto. Quanti ricordi! Il più movimentato e cinematografico nel 2001, allorché sullo stuolo dei dignitari e delle dame, delle alte greche, degli ambasciatori in costume e dei cardinali si abbattè all'improvviso un acquazzone spaventoso, e chi scappava da una parte, chi si rifugiava dall'altra.

A quel punto c'era già Berlusconi, che pure non ha mai amato quel rito, forse perché lo riduceva a ciò che egli meno vuole essere: uno dei tanti. Nel 2008, tornato a Palazzo Chigi, raccontò che Pertini gli aveva profetizzato il Colle. Ma già l'anno seguente, incalzato da Noemi e dai particolari sulle visite guidate tipo tour-operator che il Cavaliere effettuava a Villa La Certosa, con allegra e sottile spietatezza Napolitano ne freddò gli entusiasmi: «Mi raccomando, presidente, illustri a tutti le bellezze del Quirinale».

 

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