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Francesco Bonazzi per Dagospia
Per Raffaella Paita il campanello d’allarme è già suonato da tempo. Lei va agli incontri elettorali e da gran secchiona snocciola dati, cifre, progetti per la sua Liguria, e la gente le chiede invariabilmente di parlare di pensioni, Jobs Act, riforma della scuola e perfino di Italicum. Insomma, l’abbraccio con Matteo Renzi, per lei che era bersaniana ed è renziana solo dalla penultima Leopolda, rischia di essere mortale. E il 31 maggio in Liguria sembra ormai che si tenga un referendum sul presidente del Consiglio. Una consultazione dagli esiti assolutamente imprevedibili.
Secondo gli ultimi sondaggi, il vantaggio della candidata piddina sul rivale del centrodestra, Giovanni Toti, è ridotto al lumicino. E non certo perché il consigliere politico di Silvio Berlusconi sia questa gran macchina da guerra. Per Ipsos-Corriere della Sera, la Paita starebbe al 29,5%, contro il 27,5% di Toti, il 19,5% della grillina Alice Salvatore e l’11,5% di Luca Pastorino, l’ex deputato del Pd e sindaco di Bogliasco che toglie il sonno ai renziani. Per Ipr Marketing, invece, Paita è al 28%, appena un punto sopra Toti, con la Salvatore addirittura al 25,5% e Pastorino all’11%.
Tutti i candidati sono insomma ben lontani da quel 35% oltre il quale scatta il premio di maggioranza. Tra l’altro, particolare che ha agghiacciato Renzi quando l’ha saputo, la legge elettorale ligure non prevede il ballottaggio. Significa che chi prende anche un solo voto in più diventa presidente, mentre per costituire la giunta poi potrebbero essere necessarie alleanze che oggi sembrano imbarazzanti. Tanto è vero che la Paita, attaccata su questo da Pastorino, si sbraccia per smentire accordi con Forza Italia dopo le elezioni.
Eppure il trasversalismo è proprio una delle costanti di queste elezioni ligure, incaricate di dirci se il partito della nazione vagheggiato da Renzi abbia un futuro. La Paita, spezzina, 40 anni, è assessore uscente alle Infrastrutture ed è stata scelta da Claudio Burlando, governatore per due legislature, politico navigato, capace di tessere mille rapporti con il centrodestra e in particolare con Claudio Scajola.
Alle primarie dello scorso gennaio, al di là dei brogli denunciati da Sergio Cofferati che ha perso per meno di 4mila voti, hanno pesato i voti incassati sotto banco dalla Paita da settori del centrodestra. E anche adesso che Udc e Ncd sono tornati all’ovile sotto le bandiere di Toti, ci sono segnali importanti. Come l’endorsement pubblico per “Lella” fatto da Maurizio Zoccarato, ex sindaco-sceriffo di Sanremo, uomo di destra a 24 carati.
Nell’imperiese, la provincia dove il Pd è più debole, si sono espressi per la Paita ben 51 sindaci su 67. Ma per la candidata piddina la cattiva notizia è che Claudio Scajola è tornato in pista. “U’ ministru”, come si ostinano a chiamarlo da quelle parti, ultimamente si è fatto vedere spesso, ha organizzato incontri e muove le sue pedine. Suo nipote Marco è capolista per Forza Italia e l’appoggio a Toti è totale. Il gioco di sponda con Burlando è solo un ricordo.
Anche nel savonese la Paita ha lavorato sui sindaci e ne ha messi in carniere 40 su 69, a cominciare da Federico Berruti, primo cittadino di Savona, lui sì renziano della prima ora.
A Spezia invece gioca in casa e il sindaco della città, Massimo Federici, fa campagna pancia a terra per lei. Ma un dato che colpisce è che si sia schierato per Pastorino l’ex sindaco Giorgio Pagano, del quale la Paita è stata capo di gabinetto. Forse i due si conoscono troppo bene. Mentre il peso reale sul territorio di Andrea Orlando, spezzino anche lui e ministro della Giustizia, è tutto da vedere. E nelle ultime ore, un po’ a sorpresa, è arrivato anche l’appoggio pubblico della Cgil provinciale a Pastorino.
La realtà è che la partita si decide a Genova, dove vive un ligure su tre e da dove escono 13 consiglieri su 24 (gli altri sei sono attribuiti con i riparti). Il capoluogo è una città dove il pubblico impiego e i pensionati sono due blocchi sociali dominanti. E questo spiega perché qui la riforma della scuola, il Jobs Act e le pensioni siano tre temi sentitissimi. Insomma, il cuore del referendum su Renzi batte a Genova, che mercoledì si fermerà per la manifestazione della Cgil contro la riforma del lavoro del governo.
E se si circoscrive lo sguardo alla sinistra, la situazione per la Paita è davvero difficile, nel capoluogo. Il grosso del suo partito e del suo blocco ideologico di riferimento, cooperative comprese, guarda nettamente con favore alla sfida del civatiano Pastorino. Non solo, ma anche tra i burlandiani la situazione è ingovernabile.
Nei giorni scorsi oltre 200 personalità di area piddina hanno firmato una lettera aperta che in sostanza lancia il voto disgiunto: ovvero crocetta sul simbolo del Pd e poi si sbarra la casella di Pastorino presidente. Tra questi ci sono molti burlandiani, delusi dal fatto che il presidente uscente abbia preferito per la successione una quarantenne spezzina a un cinquantenne genovese.
Il nome più pesante di questa fronda di massa è quello di Claudio Montaldo, vicepresidente uscente e assessore alla Sanità. Ma il fenomeno del voto disgiunto rischia di non essere solo una manifestazione di disagio ridotta a un ceto dirigente che non stima la Paita. Poi, per chiudere su Genova, c’è un sindaco come Marco Doria che proviene da Sel e appoggerà Rete a Sinistra di Pastorino. Così, alla fine, il principale asset della Paita in città sarà l’appoggio di Roberta Pinotti, ministro della Difesa. Un po’ pochino.
Di fronte a una strada che si fa sempre più in salita, la candidata renziana ha deciso di accettare la sfida nazionale che si è trovata ad affrontare. In cuor suo, visto come stanno andando le cose, farebbe forse a meno del sostegno diretto di Renzi, arma assolutamente a doppio taglio. Ma ormai è tardi e tanto vale buttarsi nella mischia. Così ha detto al “Secolo XIX” che la sua vittoria in Liguria sarà “il colpo di grazia per Berlusconi”. E anche i suoi toni si sono fatti più renziani.
Per dire, la settimana scorsa, parlando a una platea di sindaci imperiesi preoccupati di una Regione “Genova-centrica”, ha solennemente proclamato: “Io non sarò il presidente della Regione, ma il sindaco della Liguria”. Che cosa voglia dire non si sa, ma “sindaco della Liguria” è renzismo puro.
Toti dal canto suo gioca di rimessa. Sembra il classico candidato che deve solo tenere le posizioni perché la sua eventuale vittoria può arrivare solo per discesa repentina dell’avversario. A Genova si è concentrato sui salotti, ben sapendo che il resto della città è fieramente antiberlusconiano, e si è dedicato alle altre tre provincie. In Liguria il centrodestra è tutto unito come ai bei tempi e può contare sulla spinta fortissima della Lega di Salvini. Il resto lo faranno le due sinistre che si scannano.
Pastorino, 44 anni, parlantina svelta e sorriso perenne, non ha possibilità di vittoria ma è colui che rischia di far perdere la Paita. Al suo fianco c’è sempre Pippo Civati e ogni giorno che passa sembra recuperare voti dalla pancia del Pd. Ha tentato qualche apertura verso il Movimento Cinque Stelle, ma ha ricevuto per ora una mezza porta in faccia. La Salvatore gli ha ricordato che anche lui nasce burlandiano, ma il problema è che guidano liste che si contendono la stessa fascia elettorale: gli anti-renziani.
Perché alla fine si torna sempre lì, a Renzi. Perfino quando si parla dell’ultima alluvione, costata un avviso di garanzia per concorso in omicidio colposo alla Paita, a Genova ti fanno notare che in quei giorni dolorosi né lei né Renzi si fecero vedere in città. Adesso ci vengono spesso, ma rischia di essere tardi.
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RAFFAELLA PAITA
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