DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
1 - IL PIANO B DI RENZI “NON È MAI ESISTITO IL PARTITO CON VERDINI”
Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
«Il partito della Nazione non è mai esistito. O meglio esiste, ma è un partito d’aula». Matteo Renzi liquida così il progetto di un allargamento al centro del Pd, di un abbraccio strategico e definitivo con Denis Verdini e Angelino Alfano, l’idea di un equilibrio che da sinistra si sposta in zone più moderate per conquistare le fette d’elettorato in fuga da un centrodestra sfilacciato. Quindi, i voti dei verdiniani servono sì, ma solo al Senato e alla Camera per aiutare il governo ad avere la maggioranza durante le tempeste. Che è, al tempo stesso, il riconoscimento di una necessità che smette di essere lo schizzo di un’identità futura.
Partito d’aula è una formula, anche abbastanza secca, utile a prendere definitivamente le distanze da un’ipotesi che sembrava realtà. Annuncia il desiderio di voltare pagina agendo in fretta. Un’operazione da fare prima del referendum di ottobre e prima delle elezioni politiche con l’Italicum, una legge elettorale che introduce il bipolarismo puro. Renzi continua ad avere alcune certezze. «Il Pd vincerà al primo turno superando il 40 per cento», ripete ai collaboratori. «Siamo più forti di tutto», aggiunge.
Dalla domenica elettorale però ha cominciato ad aggiungere altri tasselli. Si è convinto che il ballottaggio del 2018 sarà tra il centrodestra e il centrosinistra, «sul modello di Milano». Ovvero, che i 5 stelle non arriveranno fino in fondo. «Berlusconi e il suo campo esistono ancora», è il ragionamento del premier. Dunque, chi pensa che questa constatazione sia la premessa di un nuovo patto del Nazareno «non capisce nulla (eufemismo di un’espressione colorita toscana ndr)».
L’assunto deve invece servire a dare un profilo al Pd. Nuovo? Rinnovato, certo, ma più simile al vecchio Ulivo che al famigerato partito della Nazione. «Penso anch’io che ci sia una consapevolezza diversa — dice Roberto Speranza, il leader della sinistra che ha martellato contro Verdini in questi mesi — . Noi l’avevamo detto che non funzionava. Ma dove voglia andare Renzi non l’ho ancora capito».
In realtà, Renzi pensa a uno schema Ulivo dal 17 aprile scorso. Lo hanno spaventato i 15 milioni e 800 mila italiani che sono andati alle urne per il referendum contro le trivelle. In quel dato, insufficiente per il quorum, Palazzo Chigi ha letto un voto anti-premier. «Dobbiamo ricompattarci a sinistra, altrimenti sulla riforma costituzionale andiamo a sbattere», disse quella sera il premier ai suoi collaboratori. «Oggi il Pd — spiega Speranza — è tre cose sole: megafono del governo, comitati elettorali sparsi sul territorio più o meno efficaci, il capo che va in televisione. Così non va lontano ».
Il partito è un assillo condiviso dal segretario, sebbene finora abbia sempre evitato di metterci mano. Domenica notte ha avuto la prova plastica di una debolezza, quando lo stato maggiore si è riunito al Nazareno.
Davanti agli occhi di Renzi si è materializzata questa scena: a parte i vicesegretari e Dario Franceschini impegnati al telefono per sapere come andava lo spoglio nelle varie città, gli altri dirigenti si limitavano a dar vita a un “talk show” nei corridoi. Speranza attacca: «Quei dirigenti, Renzi compreso, ci hanno detto che il Pd non era mai andato tanto bene, che tutto funzionava a meraviglia. Sono contento che adesso Matteo ammetta che i problemi esistono».
Ma si risolvono solo tornando al passato, al centrosinistra dell’Ulivo? Renzi non ha ancora una risposta precisa sul futuro. Persino l’idea del commissario forte a Napoli viene ora messa in discussione dallo stesso segretario. O meglio, ci sarà una figura nuova nel capoluogo campano per quattro mesi, «ma dopo il nostro congresso dobbiamo creare un vero gruppo dirigente». La logica emergenziale non è la soluzione, dice il premier.
Tantomeno lo è la divisione dei ruoli di segretario e presidente del Consiglio, invocata dalla minoranza. Ma non basta più neanche il one man show, perché chiaramente deresponsabilizza tutto la classe dirigente dem, a Roma e in periferia. «Penso a un partito inclusivo, ampio e di sinistra», spiega Renzi. Come realizzare il progetto non è ancora chiaro. Una forza progressista moderna è l’obiettivo, abbandonando le alleanze al centro. Ma tutto è ancora da costruire.
2 - L’AVVERTIMENTO DI DENIS “SENZA NOI IL GOVERNO CADE MA NON SI ANDRÀ AL VOTO”
Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”
«Da un anno Bersani e Speranza massacrano Renzi, e adesso sarebbe colpa di Ala? L’errore, piuttosto, è stato non partire subito con il partito della Nazione... ». I fedelissimi capiscono immediatamente che la settimana di Denis Verdini è iniziata male. Malissimo, visto che il premier non ha atteso neanche un giorno per individuare nell’alleanza con “Denis” la causa della pessima performance elettorale dei democratici.
Però, messa per un attimo da parte la rabbia, l’ex braccio destro del Cavaliere sembra tranquillo soprattutto per un dettaglio: «Al Senato, ormai lo sanno tutti, siamo decisivi. Il Partito democratico non può fare a meno di noi». Quindi, se il premier insiste su questa linea, le conseguenze saranno durissime: «Non lo aiuteremo più. E vediamo se sarà capace di andare avanti. Ma sia chiaro che a quel punto i nostri voti li impiegheremo per un altro governo. Si scordi di andare al voto anticipato».
RENZI VELTRONI VERDINI SPERANZA
Nessuno, neanche Matteo Renzi, può scaricare la nutrita pattuglia di transfughi del berlusconismo senza rischiare qualche brutta sorpresa. Bussano tutti alla porta di Verdini, che riceve paziente al ristorante o nella sede del partito. I volti sono scuri, come le percentuali raccolte a fatica in un primo turno di amministrative che rasenta il baratro. La prima riflessione è autocritica: «Abbiamo tentato un esperimento, non è stato capito. Né hanno compreso lo sforzo di costruire una forza di centro».
In effetti c’è maretta sulla linea politica, nel partito. I pugliesi e i toscani sono infuriati. «Non dovevamo presentarci, né contarci! Così siamo andati tutti a sbattere». Anche Verdini, a dire il vero, nutriva dubbi, ma alla fine ha accettato la sfida. Quello che proprio non sopporta, però, è vestire i panni del capro espiatorio di un brutto risultato altrui. «Non scherziamo - si arrabbia, a colloquio con i parlamentari che gli chiedono una parola di speranza - il Pd ha perso a sinistra, non ha mobilitato i suoi».
Palazzo Madama resta l’unica assicurazione per l’Alleanza liberalpopolare. Nessuno si spinge fino a minacciare in pubblico una crisi che porterebbe tutti nel precipizio. Però tutti i verdiniani sussurrano che se davvero Renzi decidesse di interrompere ogni rapporto, non passerà molto prima di ricordare alla maggioranza chi davvero è indispensabile.
roberto speranza eugenio scalfari
«Non serve molto - minaccia Verdini -, basta un “colpetto” sul primo provvedimento utile». E anche un osservatore esterno come Giulio Tremonti, in visita a Montecitorio per salutare il vecchio amico Umberto Bossi, fa di conto: «Prima la maggioranza ballava parecchio, poi con l’arrivo di Verdini la situazione si è stabilizzata. Il problema, adesso, sono questi risultati, il fatto che per Renzi si è rotta la magia. Sa, Denis aveva venduto un future ai suoi parlamentari, e adesso...». In parecchi avevano scommesso sull’ex coordinatore del Pdl, e ora scalpitano.
Eppure è il momento di restare calmi, come ha spiegato il leader alle sue truppe. Tacere - o quasi - fino ai ballottaggi, questa è la linea. Attendere l’esito del secondo turno e poi fissare una strategia. La prima opzione resta quella di lavorare a un contenitore moderato che aggreghi tutto ciò che sta alla sinistra di Forza Italia. Anche con il Nuovo centrodestra, che presto tornerà a reclamare con forza il premio di coalizione per l’Italicum.
«È una modifica sensata e positiva per tutti», ragiona l’alfaniano Giuseppe Castiglione. E se comunque le porte del centro restassero chiuse per Ala? A quel punto Verdini potrebbe sempre far pesare il suo solido legame con Fedele Confalonieri e Gianni Letta. Per fare cosa? «Io l’ho sempre detto che rompere il Nazareno è stata una c..». Un riavvicinamento con Berlusconi è sempre possibile, insomma, portando in dote un nuovo accordo con il premier. O, ipotesi assai più spregiudicata, la fine anticipata di questo governo da offrire al Cavaliere.
Nel bel mezzo di tutto resta il referendum. Su quel passaggio la linea di Verdini non cambia, né mai cambierà. «Noi ci impegneremo. Poi a ottobre - sorride Ignazio Abrignani - brindiamo tutti, oppure ci suicidiamo tutti... ». Se la situazione non dovesse precipitare prima, insomma, Ala si spenderà per far approvare la riforma costituzionale. Cercando di coinvolgere un volto spendibile e “istituzionale” come Marcello Pera, corteggiato da Verdini per guidare la battaglia per il Sì e ridurre una dannosa sovraesposizione.
Il 20 giugno mattina, a urne chiuse, si aprirà una nuova partita. Il leader toscano continua a ritenere quasi impossibile che Renzi rompa davvero il patto. Per una questione di rapporti di forza che legano la maggioranza ad Ala: «Ma vedrete, l’accordo reggerà - ha scherzato - Matteo non farà come quel marito tradito che per fare un dispetto alla moglie... ».
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT - A RACCONTARLO NON CI SI CREDE. RISULTATO DEL PRIMO GIORNO DI OPS DEL MONTE DEI PASCHI…
DAGOREPORT - FRANCESCHINI, IL SOLITO “GIUDA” TRADITORE! SENTENDOSI MESSO DA PARTE DALLA SUA…
DAGOREPORT: PD, PARTITO DISTOPICO – L’INTERVISTA DI FRANCESCHINI SU “REPUBBLICA” SI PUÒ…
DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
DAGOREPORT - È TORNATA RAISET! TRA COLOGNO MONZESE E VIALE MAZZINI C’È UN NUOVO APPEASEMENT E…