COME TI ROTTAMO IL SOTTO-MARINO – L’IRA DI RENZI CONTRO IL SINDACO: ‘‘OSTACOLI IL GOVERNO E INCITI I ROMANI ALLA RIVOLTA: COME TI PERMETTI?’’ – COL NUOVO SALVA-ROMA MARINO È, DI FATTO, COMMISSARIATO (STRADA SPIANATA PER ALFIO MARCHINI)

Maria Teresa Meli per ‘Il Corriere della Sera'

Che sia un tipo fumantino è un fatto noto. Non a tutti, ma almeno a quelli che lo conoscono bene. Ieri, però, anche chi nel suo staff è solito cercare di frenare le ire del presidente del Consiglio ha capito che non era aria. Da diversi giorni l'intera Camera dei deputati, intendendo per tale parlamentari, commessi e giornalisti, sapeva che il cosiddetto «salva Roma» sarebbe stato ritirato.

Per due banali motivi. Innanzitutto, perché per farlo passare nei tempi dovuti la presidente Laura Boldrini avrebbe dovuto applicare per la seconda volta nel giro di pochissimo tempo la tagliola sui tempi del dibattito. E la prima si sa come è andata a finire: una rissa da stadio nell'aula di Montecitorio, senza la possibilità di applicare le stesse rigide pene previste ormai per i tifosi. Non solo, Renzi avrebbe dovuto avviare l'era del suo governo nel peggiore dei modi: «Il mio primo atto non può essere quello di chiedere la fiducia».

No, il premier non voleva e non poteva farlo. Inoltre questi decreti omnibus non gli piacciono, come ha spiegato ieri sera ai suoi: «Sono irritato per questo modo demenziale di legiferare, tenendo insieme le cose piu disparate. È una roba che si scontra con il lavoro di pianificazione strategica avviato da Delrio a Palazzo Chigi. Questi temi vanno affrontati dai sindaci ed è quello che ho spiegato a Marino».

LA TELEFONATA - Comunque, ben prima dello sfogo serale di ieri sera tutti sapevano quello che pensa Renzi dei decreti omnibus, perché non ne aveva mai fatto mistero, e tutti, incluso il sindaco di Roma, sapevano che il «salva Roma» non avrebbe visto la luce. Anche per questo l'altro ieri Marino aveva parlato a lungo con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Delrio, che si è caricato anche questa croce addosso.

Perciò quando la mattina dopo il premier ha sentito a Radio24 le dichiarazioni rilasciate dal primo cittadino della Capitale a Giovanni Minoli non ci ha visto più. Certo, non si poteva permettere di fare un tweet come quello di Paolo Gentiloni, non poteva dire al sindaco: «Attento, che se aizzi i romani a correre appresso ai politici con le auto blu, poi a te tocca andare più veloce e prendere la bicicletta elettrica». Ma qualcosa poteva e doveva fare. Anche perché quelle dichiarazioni seguivano due interviste in cui il primo cittadino della Capitale minacciava di dimettersi. «Ma come - è sbottato Renzi - il governo è appena nato, noi ce la stiamo mettendo tutta e quello ci vuole mettere in difficoltà già adesso?».

Dopodiché siccome il presidente del Consiglio non è un tipo che le manda a dire ha deciso di telefonare al diretto interessato e di spiegargli personalmente quello che pensava di lui e delle sue mosse. Forse a Marino non sarà sembrato vero. Erano giorni che il sindaco tentava di parlare con il premier-segretario del Pd. E non di Roma. Ma di sé. Perché vedeva muoversi da dentro il partito un'ondata a lui contraria e cercava di farsi scudo con il leader per tacitare i tanti malumori del partito romano, diviso in mille rivoli, dove, in effetti, pure i renziani sono gli uni contro gli altri armati: peculiarità tutta capitolina. Comunque, finalmente, la telefonata c'è stata. E non è stata piacevole.

«COME TI PERMETTI?» - Quando l'inquilino di Palazzo Chigi si arrabbia, lo fa sul serio: «Come ti permetti? Noi siamo qui, tutti a lavorare, per trovare soldi per l'Italia e tu inciti i romani alla rivolta? O minacci le dimissioni per minare subito il lavoro che abbiamo fatto? Io sono stato sindaco come te. E so come funzionano queste cose. Ci vuole coraggio, non ci vogliono i piagnistei. E, soprattutto, bisogna prendersi le proprie responsabilità. Io prenderò le mie, tu prendi le tue, ma smettila di mettere i bastoni tra le ruote a chi si sta ammazzando per rimettere in sesto questo Paese».

È volata anche qualche parola grossa, con la c aspirata e non con l'accento american-genovese che contraddistingue la parlata del primo cittadino della Capitale. Alla fine Marino ha capito la mala parata, ha compreso che oggi ci sarà un decreto che salverà Roma dal default e che da ora in poi sarà commissariato.

I suoi amici sostengono che la sua battuta d'arresto potrà tirare la volata ad Alfio Marchini, come futuro sindaco, e aiutare il di lui sponsor Caltagirone. Renzi la pensa diversamente: «Io nelle beghe romane non voglio entrarci. Sono stato costretto a farlo, però ora basta. Me ne tengo lontano. Sono vicino ai romani, non alle liti di partito o a quelle dei capicorrente e agli scazzi di potere».

 

 

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