SALVATE IL COMPAGNO SQUINZI - GUAI A TOCCARE MONTI, DOPO LE SUE CRITICHE AL GOVERNO, È PARTITA UNA PIOGGIA DI ATTACCHI DA TUTTI I FRONTI: PDL, INDUSTRIALI, “REPUBBLICA” E “CORRIERE”, TANTO CHE HA DOVUTO FARE UN DIETROFRONT TOTALE: “HO SEMPRE APPREZZATO IL PREMIER” - IL PD TACE (MA NON È UNA NOVITÀ) - IRONIE DEL GOVERNO TECNICO: IN DIFESA DEL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA SI SCHIERANO MARONI, VENDOLA E DI PIETRO…

Wanda Marra per il "Fatto quotidiano"

Non sono le mie parole a far salire o scendere lo spread". Di tutte le accuse che gli sono state mosse negli ultimi giorni per aver attaccato frontalmente il governo Monti, tanto da arrivare a definire la Spending review "macelleria sociale", quella che ha fatto più male a Giorgio Squinzi, leader di Confindustria, deve essere stata proprio la replica di Monti: "Le sue parole fanno salire lo spread". E così ieri a Lucca all'assemblea degli industriali rispondendo alle domande dei giornalisti si è prodotto in una retromarcia assoluta.

Sabato nel confronto con il segretario della Cgil, Susanna Camusso era arrivato ad adombrare una "patrimoniale" ("se non tocca le imprese"), a chiedere più "concertazione", a esprimere preoccupazione per "il balletto sui numeri degli esodati". Il governo, aveva detto, si merita "tra il 5 e il 6". Toni e contenuti così netti da rubare non solo la scena, ma pure la parte in commedia alla sua interlocutrice. D'altra parte, non era nemmeno la prima volta.

Una "boiata pazzesca" aveva definito la riforma del lavoro. E alla vigilia del vertice europeo del 28 e 29 giugno, che ha "consacrato" il Professore come vincitore, aveva denunciato: "l'Italia è nell'abisso". In quell'occasione Monti aveva reagito con una sobria rabbia lucida: "Mi sto imponendo una moderazione interpretativa: faccio solo presente che in una rara devianza dalle cose che ha affermato in queste settimane si è detto sicuro che avrei convinto la cancelliera Merkel perché conosco il tedesco. Ma io non conosco il tedesco".

Un avvertimento. E dopo l'ennesima uscita del presidente di Confindustria Monti ha guidato l'attacco: "Invito a considerare che dichiarazioni di questo tipo da parte di personalità istituzionali ritenute responsabili hanno effetti molto rilevanti nei mercati e quindi suggerirei di fare più attenzione, non tanto nei riguardi del governo, ma verso le imprese".

Sulla sua linea sostanzialmente si è schierato tutto il paese politico ed economico. Tanto che ieri Squinzi praticamente punto su punto o si è "ricreduto" o ha accettato il suggerimento di chi (in primis i big della stessa Confindustria) si diceva certo che fosse stato "frainteso". Le mie polemiche con il governo sono basate su frasi estrapolate", dice. E non c'è "nessun asse con la Cgil". Di più, arriva pure l'ammenda: "Ho sempre apprezzato Monti e non ho mai detto il contrario".

Alla Fornero: "Siamo pronti a collaborare". Sulla Spending review: "L'esecutivo si sta muovendo nella direzione giusta". Qualcuno ironizza su Twitter: "Evidentemente Squinzi è bipolare". Ma una spiegazione la fornisce lui stesso: "Non mi aspettavo tutte queste critiche". In effetti, è stato un vero e proprio tiro al bersaglio. "L'ira di Monti su Confindustria" e "Monti: basta danni all'Italia", titolavano ieri rispettivamente Repubblica e Corriere. Con editoriali che definire schierati a difesa del governo è dire poco.

Tito Boeri su Repubblica (titolo: "Esternazioni irresponsabili") augurandosi che "Squinzi capisca che il suo nuovo ruolo gli pone nuove responsabilità anche sul piano della comunicazione" si spinge a interpretare le parole di Squinzi come "nostalgia" dei governi politici" : Confindustria "sente di poter condizionare maggiormente un governo politico di un governo tecnico e reputi questa possibilità di condizionamento più importante di qualsiasi altra cosa nel valutare l'operato di un esecutivo". E insinua: "il sospetto è che Squinzi non ami le verifiche sull'efficacia della spesa perché è difficile per lui giustificare l'esistenza di un'organizzazione costosa come Confindustria". Mentre il direttore Ezio Mauro parla di "ribellismo delle classi dirigenti".

Se è per i big della stessa Confindustria non hanno esitato a schierarsi col premier, da Franco Bernabè, ad di Telecom, a Paolo Scaroni, il numero uno dell'Eni, dal presidente di Assolombarda, Alberto Meomartini a Marco Tronchetti Provera, presidente di Pirelli. Pure Montezemolo ha detto la sua: "Parole che non si addicono al leader di Confindustria".

La politica nell'era Monti - e ancor di più dopo il vertice europeo di fine giugno - ha solo tre tipi di reazione: o tace, o acconsente, o più o meno timidamente (e infruttuosamente) protesta. Stavolta si è schierata senza se e senza ma col presidente del Consiglio. Il Pdl, con il capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto, ha definito Squinzi "prigioniero politico" della Cgil. Più sobriamente Pier Ferdinando Casini, leader Udc, ha parlato di "un errore di comunicazione".

Tace il Pd, nell'ormai usuale imbarazzo tra sostegno più o meno indiscutibile a Monti e contenuti di sinistra. Per tutti il segretario Pier Luigi Bersani lo dichiara: "Non vorrei partecipare a queste discussioni". E insomma, a difendere il "compagno" Squinzi assieme al neosegretario della Lega, Maroni ("Il governo accetti critiche, se no è una dittatura") restano solo Nichi Vendola ("c'è un brutto clima di censura") e Antonio Di Pietro ("Camusso e Squinzi guardano al paese reale"). Ironie della tecnica.

 

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