DAGOREPORT - SUL PIÙ TURBOLENTO CAMBIO D'EPOCA CHE SI POSSA IMMAGINARE, NEL MOMENTO IN CUI CRISI…
Marco Cremonesi per il “Corriere della Sera” - Estratti
Silenzio, ancora. Quello di Matteo Salvini, che ieri come sabato non ha ritenuto di intervenire sulla disastrosa giornata ferroviaria. Ma anche quello dei Fratelli d’Italia, che anche ieri non hanno minimamente solidarizzato con il ministro dei Trasporti per quello che i leghisti chiamano «lo sciacallaggio» delle opposizioni: neppure una dichiarazione. Anche se è «una scelta per non aggiungersi alle polemiche». Da Forza Italia almeno una presa di posizione è arrivata, l’«assoluzione» del capogruppo alla Camera Paolo Barelli: «Nessuna responsabilità di Salvini».
antonio tajani giorgia meloni matteo salvini
La temperatura in maggioranza, insomma, resta bassina. L’insistenza di Matteo Salvini su ordine pubblico, sicurezza e immigrazione piuttosto che sui Trasporti — di cui è il responsabile — sta diventando fonte di ironie.
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Ma, appunto, l’insistenza sui temi del Viminale stupisce più di prima, dal momento che la stessa premier nella conferenza stampa di qualche giorno fa ha dichiarato che il ritorno di Matteo Salvini al Viminale «non è all’ordine del giorno» dato che Matteo Piantedosi «è un ottimo ministro». Peraltro indicato dalla Lega stessa. Ma, molto vicino al vicepremier, si osserva che «c’è poco da fare ironia e non si capisce proprio lo stupore: Matteo Salvini è il segretario di un partito che da sempre punta molto sui temi della sicurezza e dell’immigrazione, il che non significa di certo un disimpegno dal suo lavoro quotidiano da ministro; e comunque, ad essere finito a processo per il suo lavoro al Viminale è stato lui. Non altri».
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IL MINISTRO DELLA MALAVOGLIA CHE PER SOGNARE IL VIMINALE SI PERDE TRA PANTOGRAFI E CHIODI
Filippo Ceccarelli per “la Repubblica” - Estratti
Non si capisce più tanto bene che cosa vuole Salvini dal governo, da Meloni, dalla Lega che contro ogni logica continua a invocarlo premier nel nome e nel simbolo. Per uno di quei paradossi che segnano la vita del potere – e quella dei potenti ancora di più – questa sua irresolutezza si è accentuata dopo l’assoluzione di Palermo.
Così adesso è sempre meno chiaro che cosa il vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture vuole dalla sua amministrazione, dal suo impegno, dalla sua carriera e, se è consentito, anche da se stesso – incertezza che per un uomo politico che ha superato i 50 anni costituisce un bel guaio.
matteo salvini giorgia meloni. antonio tajani 2
Sul piano operativo è sopraggiunto il terzo stranguglione ferroviario in pochi mesi, su siti e giornali illustrato dai cartelloni luminosi densi di ritardi e cancellazioni. Ieri, il vice e super ventriloquo leghista Crippa ha garantito che Salvini lavora 14 ore al giorno; ma la penultima volta, a ottobre, quando Roma Termini e migliaia di viaggiatori erano piombati dentro l’ennesima paralisi, il ministro era intento a celebrare la festa dei nonni; e solo nel pomeriggio, ai margini di un evento, in tal modo ha ritenuto di auto-commiserarsi: «Sono anni che chiedono le mie dimissioni perché respiro e perché vivo».
E tuttavia lo snodo Salvini oltrepassa vittimismi, pantografi, chiodi, guasti elettrici, incendi e “sfiga”, come ha riassunto lui con indulgente approssimazione. C’entra e non c’entra il Viminale, desiderato, concesso, perduto, poi richiesto e non ottenuto, però intanto “sto bene dove sto”. Prima un rullio di tamburi sul nuovo e severo codice alcolemico della strada, poi le più insistite rassicurazioni che “non è cambiato nulla”, quindi auguri dal ministro intento a grattare la pancia a un cagnone.
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Per cui l’incertezza trascende i soliti strombazzamenti, le abituali contraddizioni, le capricciose impuntature, i tagli dei nastri tirati con i denti, la cravatta rossa alla Trump e la “Casa rossa” che sarebbe la nuova, provvida e comprensibilmente gettonata società di produzione di Francesca Verdini.
È la mancanza non solo di sbocchi a breve termine, ma anche e soprattutto di senso compiuto l’inconfessabile cruccio di Salvini, il ritrovarsi intrappolato fra Vannacci e il Ponte del perenne scetticismo, i sommovimenti lombardi e il terzo mandato di Zaia; per cui il personaggio rilutta, resiste, recalcitra, si offre, ci ripensa, si offende, insegue Musk, partecipa all’apericena a casa Meloni, ma poi diserta il Consiglio dei ministri e in definitiva sembra che faccia tutto di malavoglia.
antonio tajani matteo salvini giorgia meloni
Troppo e insieme troppo poco, come capita alle maschere. Potrebbe dirsi la fine di un ciclo o la crisi del settimo anno o giù di lì, in questo gli archivi, ma più in generale i confronti con il passato sono impietosi.
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