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Marco Bresolin per âLa Stampa'
«Chi vota per me, vota anche per lei». Lo aveva capito subito, Matteo Salvini, che Marine Le Pen sarebbe stata la vera vincitrice di queste elezioni europee. Per questo in tempi non sospetti aveva iniziato a cavalcare l'onda del Front National, sfruttando ogni occasione per farsi fotografare a fianco della leader francese.
«à l'inizio della fine di questa Europa - ha alzato le braccia Salvini ieri sera -, ne costruiremo un'altra. Sono contento e orgoglioso della collaborazione con Marine Le Pen». L'alleanza con le forze euroscettiche, vista la risposta delle urne, ha dato i frutti. «Siamo una bella truppa d'assalto. Ci davano per morti, invece siamo vivi e vegeti». E da buon Matteo (vedi Renzi) ha aggiunto: «Abbiamo smentito i gufi. Siamo il quarto partito».
Certo, la sua Lega è lontanissima da quel 10,21% raggiunto nel 2009 e promesso dal segretario in questi mesi. E l'abisso che lo divide dal 25% della destra transalpina è ovviamente enorme. Però il risultato di ieri dice una cosa, e cioè che è sicuramente iniziata la risalita dopo lo scarso 4% raccolto un anno fa. Se circa sei italiani su cento hanno votato Lega, vuol dire che le inchieste, gli scandali, i diamanti e la Tanzania sono stati perdonati. O magari soltanto dimenticati, perché la memoria di un certo elettorato non è poi così lunga.
Poco importa, c'era da riconfermare qualche seggio a Strasburgo (a cui Salvini tiene più di quelli a Roma) e soprattutto rimettere insieme un partito dato per spacciato fino a un anno fa. In queste elezioni, insomma, il segretario si giocava il tutto per tutto. Ha girato in lungo e in largo l'Italia intera, si è fatto dare della «Carogna» a Napoli, ha tenuto comizi a Taranto. à apparso in ogni trasmissione televisiva in onda sui canali locali, nazionali, digitali e pure satellitari. In ogni tappa del suo tour, ha indossato una felpa diversa con il nome della città scritto a caratteri cubitali. Persino a Roma, dove si è fatto fotografare con quella giallorossa. Perché anche la Lupa, se munta nel modo giusto, può dare qualche voto.
Certamente è stato uno dei pochi a parlare di temi concreti, anche se rivolgendosi più alla pancia che alla testa dei suoi elettori. Due, in particolare, le strade battute in questi mesi: immigrazione ed euro. Davanti a entrambe ci ha messo la parola «Basta». Basta euro è stata la sua parola d'ordine, talmente in evidenza da spodestare la parola Padania dal simbolo. «Con questi dati - ha commentato Salvini davanti ai risultati - l'euro è una moneta del passato».
Sull'immigrazione ha invece sfruttato la cronaca di questi mesi, gli sbarchi. Talvolta con colpi molto bassi. Basti pensare alle provocazioni dell'eurocandidato Angelo Ciocca, che prima ha dato 50 euro a testa a un gruppo di immigrati, li ha messi davanti a una telecamera e ha fatto leggere loro un appello ai connazionali: «State a casa, in Italia non c'è più posto». Poi ha tentato lo sbarco in Tunisia con alcuni disoccupati, salvo ritornare subito a casa perché le onde alte avevano provocato qualche malore ai passeggeri.
E se Alfano ha più volte prestato il fianco per essere attaccato, il nemico preferito è rimasto l'ex ministro Cécile Kyenge. Quella che Salvini continua - con tono disprezzante - a chiamare «sciùra». Quella che una sera, nel primo faccia a faccia in tv, gli ha regalato una banana. E che poi gli ha ricordato: «Salvini, lei non ha nemmeno finito l'università ».
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