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Dino Martirano per il “Corriere della sera”
L'articolo 61 della Costituzione prescrive un periodo massimo di 70 giorni di tempo tra il voto e lo scioglimento delle Camere da parte del Capo dello Stato, il quale firma un decreto presidenziale per indire i comizi elettorali «non più tardi del 45° giorno antecedente quello dalla votazione». Semplificando, questo vuol dire che tra lo scioglimento della Camere e il voto possono passare un massimo di 70 giorni e un minimo di 45.
L'esperienza ormai consolidata della poderosa macchina elettorale del Viminale insegna che mediamente i preparativi durano 55 giorni: ed è questa, infatti, la misura calibrata che si considera al Quirinale per la firma del decreto presidenziale che necessariamente deve seguire lo scioglimento delle Camere.
Applicata ai giorni tribolati del governo Conte, la formula ci condurrebbe a due scenari.
Il primo è del tutto teorico e altamente improbabile: mancata risposta dei vicepremier Salvini e Di Maio all'ultimatum lanciato dal presidente Conte, dimissioni immediate del premier, scioglimento delle Camere, voto a fine luglio, magari domenica 28 luglio con mezza Italia lontana dalla residenza anagrafica dove si vota.
A parte che una crisi parlamentare (con richiesta di un voto di fiducia davanti alle Camere) richiederebbe altro tempo che farebbe slittare l'intera macchina elettorale a domenica 4 agosto, è inimmaginabile (per il Quirinale ma anche per i partiti) creare le precondizioni per un'astensione da record. Il secondo scenario, possibile ma per niente scontato, porta alle elezioni politiche a settembre (15, 22 o 29 le date possibili).
Il governo, però, dovrebbe vivacchiare ancora un mese e mezzo, se non due, con il preciso intento (chiesto dall' Europa e sottoposto alla alta vigilanza dal Colle) di provare a raddrizzare i conti pubblici per dare un segnale preciso a chi ci sta tenendo sotto osservazione ventilando la procedura di infrazione per debito eccessivo.
Da qui a fine luglio, dunque, il governo in carica destinato a liquefarsi sotto il sole in piena estate, metterebbe mano a una «pre-manovra» di alcune decine di miliardi per rassicurare i mercati e la Ue. C' è da scommettere, però, che un' operazione così congeniata sarebbe accompagnata soltanto dalle impronte digitali e dalle fotografie di riconoscimento del premier Giuseppe Conte e del ministro dell' Economia Giovanni Tria: i due infatti sarebbero «sacrificabili» in quanto non hanno partiti ed elettori cui rispondere.
luigi di maio vota al seggio di pomigliano d'arco 3
Di Maio e Salvini sceglierebbero, invece, di fare un passo indietro per «non sporcarsi le mani» con misure lacrime e sangue, anche se poi le rispettive truppe potrebbero essere chiamate, prima o poi, a qualche voto scomodo in Parlamento (vedi nota di aggiornamento del Def). Il secondo scenario del voto a fine settembre - ammesso che regga la premessa necessaria di una pre-manovra dolorosissima per chi è abituato a promettere mari e monti - implica pure una domanda successiva, che meriterebbe una risposta esatta fin da ora: dopo le elezioni di fine settembre, quanti giorni possono passare prima che il nuovo governo, una volta insediate le Camere ed eletti i rispettivi presidenti, sia pienamente operativo? Trenta? Quaranta giorni?
Il calendario del 2018 dice che tra il 4 marzo (voto) e il 1° giugno (nascita del governo Conte) di giorni ne sono passati molti di più. Ma stavolta ci sarebbe la necessità di correre perché la legge di Stabilità, poi, va approvata entro il 31 dicembre. Sui due scenari poi (voto a luglio improbabile, urne aperte a metà/fine settembre possibile) incombe infine la questione irrisolta più importante. Quale colore avrà infatti la prossima maggioranza di governo? Ancora giallo verde?
Lega più Fratelli d'Italia e pezzi in uscita da Forza Italia? E visto che il «Rosatellum» (la legge elettorale in vigore) prevede un terzo dei seggi assegnati con i collegi uninominali, cosa succederebbe se Partito democratico e Movimento cinque stelle decidessero, pur non essendo alleati ufficialmente, un patto di desistenza? Per conquistare, senza litigare, 232 deputati e 116 senatori. Solo per parlare della quota maggioritaria.
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