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«Preferirei di no»: l'avventura ministeriale alla guida del MiBAC del professor Lorenzo Ornaghi somiglia sempre più alla storia di «Bartleby lo scrivano» così come l'ha tratteggiato Melville nel suo straordinario racconto. Ricordate? Pian piano il giovane scrivano a furia di evitare qualsivoglia responsabilità . pur di scansare anche la più ovvia delle decisioni, finisce per scomparire agli occhi di tutti, persino dei suoi colleghi, fino a confondersi con le tappezzerie.
Anche Ornaghi ormai, sembra sbiadito, sullo sfondo delle architetture della biblioteca del Collegio Romano, quando va in sede. Se va a Pompei trascolora negli affreschi della Villa dei Misteri. Se va a Caserta è per dire che non si può fare niente per salvare dall'asta e dal fallimento la Reggia di Carditello... Ornaghi non c'è mai, e quando c'è, funziona come un ologramma. Per vedersi non ha bisogno di esserci. Non c'è stato niente da fare.
Nemmeno la prosa urticante di Francesco Merlo, che un paio di mesi fa l'ha descritto come un sublime Ponzio Pilato, è riuscito a materializzare corpo e anima.
Peggio che con Galan, o peggio ancora con Bondi, con Resca, con Sgarbi, il Ministero dei Beni Culturali vive sospeso nel vuoto delle decisioni, mentre le satrapie radicate nei potentati del potere burocratico si posizionano per l'ennesima battaglia finale.
Perché prima o poi una battaglia ci sarà . Per dire: c'è da nominare tutto il nuovo Consiglio superiore dei Beni culturali... Già ballano i nomi, fra gli uscenti che non vogliono uscire e i nuovi che vogliono entrare. A placare le pretese non è stata nemmeno sufficiente la conferma, data per certa del suo presidente, l'archeologo Andrea Carandini, passato indenne (quasi) al fuoco degli attacchi mirati del Fatto quotidiano. Conferma però non ancora sanzionata dai necessari passaggi istituzionali previsti dalla legge. Perché sono proprie le leggi che preoccupano gli abitatori dell'antico collegio dei gesuiti, c''era pure il Cardinal Bellarmino, quello della Controriforma che fa condannare Galileo, il Collegio Romano sede del Ministero.
Ma la vera storia, questa sì ancora più ansiogeno, che rende vive con le sue trame i corridoi e le stanze del MiBac, riguarda ancora il potentissimo capodigabinetto: il discusso Salvatore Nastasi, erede della grande scuola di amministrazione segreta della politica e dei suoi massimi affari che ha in Gianni Letta il suo massimo sacerdote, dovrebbe essere costretto, secondo norma di legge, a lasciare uno dei due incarichi che occupa.
Perché Nastasi non è solo capodigabinetto del Ministero ma anche direttore generale per lo «Spettacolo dal vivo», un interim ormai permanente. Se non fosse che con la nuova aria del tempo, le leggi non consentono più il cumulo delle cariche e delle competenze.
Attenzione: «Spettacolo dal vivo» non va inteso come una competenza secondaria. Se si va sul sito del MiBAC, le competenze sono sconfinate, riguardano tutto ciò che nei beni culturali non è fisso, immobile, statico, cioè musei e palazzi, siti archeologici e siti ambientali.
Sotto il dominio dello «Spettacolo dal vivo» invece ci sono tutti gli Enti lirici, dalla Scala di Milano, tutti gli enti del teatro di prosa, tutti gli spettacoli che godono di finanziamenti pubblici... E si occupa anche di Cinema, può dire al sua sulla Biennale di Venezia, su tutti gli istituti culturali e pesino sul credito sportivo, quindi il calcio...
Per capirsi: quando il cosiddetto «ottavo re di Roma», presidente del Palaexpo, che come presidente della Fondazione Roma dispone di un bilancio di due miliardi, cioè può spendere per la cultura più del sindaco Alemanno, insomma quando il potentissimo Emanuele Francesco Maria Emanuele (per intiero si chiama proprio così) ha provocato grande fibrillazione alla Biennale di Venezia, mandando su tutte le furie il presidente Baratta, presentandosi come plenipotenziario del Collegio romano, tutto nasceva proprio dalla direzione generale per lo «Spettacolo dal vivo» che l'aveva all'uopo nominato.
Ecco allora farsi strada l'idea che Nastasi il Grande abbia già deciso di abbandonare il posto di capodigabinetto per tenere il controllo totale sulla grande fetta di tutto ciò che nei beni culturali si muove e muovendosi trasforma in potere culturale il potere economico. Anche perché, fino a quando Ornaghi non si farà di nuovo materializzare, non ha nessun senso fare il capodigabinetto di un ministro che non conta nulla, che governa con il principio dello scrivano di Melville «preferirei di no».
Tutto sarebbe stato già perfezionato se non fosse scoppiato un intoppo imprevisto. Qualche mese fa è rientrata a Roma da Parigi, preceduta dalla buona stampa di cui ha goduto come direttore dell'Istituto italiano di cultura, Rosanna Rummo, nominata al vertice della «Direzione generale per le biblioteche, gli istituti di cultura, il diritto d'autore». Un posto un po' polveroso per un funzionario che si è formato nella segreteria di Luigi Berlinguer quando era ministro della Pubblica istruzione. Insomma una «pciista».
Che proprio per questo non dispiacebbe per niente a Giorgio Napolitano e al suo cerchio magico di «compagni». Ecco allora l'inciampo per il super Nastasi. C'è infatti proprio la poltrona di direttore generale allo «Spettacolo dal vivo» a cui pensa la Rummo! E si sa che sulla soglia del Quirinale sono molti i potenti che perdono i loro superpoteri. Persino Gianni Letta. O no?
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