
DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È…
1. LO SFOGO DI RENZI
Maria Teresa Meli per Corriere della Sera
«Quanta gente in Italia dovrebbe chiedere scusa per quello che ha detto e scritto sull’operazione Mogherini, con la convinzione che non sarebbe andata in porto». Con i fedelissimi e i collaboratori Matteo Renzi si toglie qualche sassolino dalla scarpa. Anche se ufficialmente sono solo sorrisi e abbracci per festeggiare una vittoria che ha cercato e voluto in tutti i modi.
Ma dura un attimo, non di più, lo sfogo del premier. La gioia per la missione compiuta, per la contentezza di «non avere mai dubitato né cambiato idea» è troppo grande per indulgere in recriminazioni sul passato: «Io ero convinto di farcela. Nella mia testa non c’erano piani B, c’era solo Federica, come avevo spiegato a tutti i miei interlocutori, esteri e non. Il resto erano giochetti italiani per metterci in difficoltà. Le ipotesi Letta e D’Alema non sono mai esistite se non per i giornali italiani e per qualche politico. Il nostro provincialismo, alle volte, non ha confini».
E, sempre con i fedelissimi, il premier bolla con le stesse parole anche il gioco del totonomine sul successore di Mogherini, iniziato da giorni e destinato a proseguire fino a novembre, quando la titolare della Farnesina assumerà ufficialmente il suo incarico in Europa. Circolano diverse ipotesi ma la più accreditata al momento è quella che non prevede un rimpasto, piccolo o grande che sia.
Nessun passaggio di ministri da una casella all’altra, bensì una semplice sostituzione di Mogherini. Con chi? Le voci che da Roma rimbalzano a Bruxelles indicano il favorito in Lapo Pistelli. Anche se chi conosce bene Renzi non esclude una sorpresa.
Del resto, di tempo per pensare alla questione il premier ne ha ancora un po’. Di tempo per recriminare ulteriormente su chi non scommetteva sul suo successo invece non ne ha più. Lo sfogo sulle polemiche passate si esaurisce presto, perché poi la natura dell’uomo prende il sopravvento.
Va bene che da ora in poi Renzi ha deciso di procedere passo dopo passo, come un maratoneta e non come un centometrista, ma incassata la vittoria in una partita giocata con grande determinazione, il premier va oltre e pensa già al vertice europeo sulla crescita che si terrà il 7 ottobre prossimo.
A Milano, probabilmente, ma la sede non è ancora stata decisa, benché sia certo che l’incontro si svolgerà nel nostro Paese, che ha fortissimamente voluto, chiesto e sollecitato l’appuntamento. In compenso l’evento e la data sono stati già stabiliti e il premier mira a questo vertice per dare ulteriore peso all’azione del suo governo nello scacchiere dell’Unione: «La vicenda di Federica è andata bene, ora lavoriamo a ottenere un nuovo risultato».
Questo il succo dei suoi ragionamenti: «Noi dobbiamo avere la forza di cambiare il modello di politica economica della Ue, basato tanto sul rigore e poco sulla crescita. Dobbiamo quindi mettere in campo tutti gli strumenti di flessibilità che ci sono». E ancora: «L’Europa deve cambiare strada e verso perché la risposta che ha dato finora alla crisi economica e finanziaria che ha investito tutto il continente non è stata sufficiente».
Sono parole che il capo del governo va ripetendo fino allo sfinimento. Sì, perché da sempre Renzi è convinto che «sarebbe miope non coniugare il rigore con la crescita»: «Non chiediamo certo una mancia per l’Italia, non è di questo che si sta parlando, visto che non siamo certo un osservato speciale nella Ue. Stiamo piuttosto parlando di una strategia più ampia che serva anche all’Europa».
Non solo, il premier è convinto che occorra fare anche un’altra operazione. Ossia, quella di rendere la Ue meno distante dai «suoi cittadini». E anche meno invisa: «L’Europa deve stare accanto ai cittadini, non contro di loro». Il che non vuol dire, lo ha ribadito anche ieri con i suoi interlocutori degli altri Paesi della Ue, che pensi di ottenere questo risultato sforando il 3%: «Io non faccio il lobbista dell’Italia e posso assicurare che noi rispetteremo le regole, ma bisogna che l’Europa prenda atto che c’è bisogno di maggiori investimenti e che è più che mai necessario cambiare politica economica» .
2. PISTELLI IN POLE PER LA FARNESINA. L’IPOTESI ALFANO
Giovanna Casadio per La Repubblica
«Se non fossi stata presidente del Friuli Venezia Giulia...». Debora Serracchiani ammette che il suo nome è circolato davvero per il ministero degli Esteri. Ma che è un’ipotesi del tutto irrealistica: è “governatrice” da un anno e mezzo, non lascerebbe la sua Regione. Renzi non ha ancora scelto il successore.
È troppo presto, del resto. Prima dell’addio di Federica Mogherini alla Farnesina per andare in Europa mancano otto settimane. Il bivio davanti al quale il premier si trova non è cosa da poco e si riassume nella domanda: semplice successione o rimpasto? Si sa che dal Colle invitano alla prudenza e a non scuotere equilibri di governo già delicati, nel pieno del semestre Ue.
Se si trattasse di una successione allora sarebbe Lapo Pistelli in pole. Vice ministro, di lunga esperienza e di molti contatti, di cui Renzi fu portaborse all’inizio della carriera politica e che poi sfidò, battendolo, nella corsa a sindaco di Firenze, Pistelli è l’erede naturale. Unico neo è che spezzerebbe l’equilibrio parità di genere - metà uomini e metà donne - del governo.
L’altro nome che si fa è quello di Marta Dassù, ma è molto meno probabile. In Europa l’Italia ha mandato una lady Pesc, Renzi quindi potrebbe ritenersi soddisfatto delle quote rosa - è la voce che circola alla Farnesina - e quindi ragionevolmente promuovere Pistelli.
Però la partita potrebbe diventare più complessa e allargarsi a un vero e proprio rimpasto. Il premier approfitterebbe dell’occasione per regolare alcune questioni aperte. Non è tanto la Pubblica Istruzione con a capo la leader di Scelta civica Stefania Giannini a preoccupare Renzi. Piuttosto è allo Sviluppo economico, ora guidato da Federica Guidi, che il premier vorrebbe un altro passo.
Molto prudente invece è Renzi su un ridimensionamento del Nuovo centrodestra. Anche se il tam tam su uno spostamento di Angelino Alfano agli Esteri così da liberare la casella dell’Interno, è sempre molto forte. Al Viminale sono stati segnalati in avvicinamento sia il sottosegretario Graziano Delrio che l’attuale viceministro con delega all’intelligence Marco Minniti.
I Servizi segreti potrebbero a quel punto essere affidati a Luca Lotti, sottosegretario
all’Editoria, l’amico di cui Renzi si fida più di tutti. «Un puzzle ancora tutto da comporre», stoppano le ipotesi i renziani. «Ma Matteo non ha mai parlato di rimpasto, comunque è un tema che spetta solo a lui affrontare», assicura la vice segretaria dem Serracchiani. Tuttavia il programma dei “millegiorni”, che domani il premier presenterà, ha bisogno di una squadra di governo tanto rodata quanto rafforzata. Non lascerebbe la Difesa, Roberta Pinotti. Circolano i nomi più vari in queste ore, tra cui quello di Andrea Guerra finora “ad” di Luxottica.
E c’è anche il capitolo Pd che si intreccia con il futuro organigramma del governo. Renzi avrebbe previsto un’accelerazione nella composizione della segreteria. Anche perché Stefano Bonaccini, il responsabile enti locali si è candidato alle primarie dell’Emilia Romagna in una competizione con l’altro renziano Matteo Richetti. Pare che il segretario-premier sia irritato per il modo con cui è stata gestita la faccenda emiliano-romagnola, dove si andrà al voto in autunno. Nel comizio di domenica prossima alla Festa dell’Unità Renzi potrebbe annunciare le novità nel partito.
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