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Fabrizio Rondolino per "il Giornale"
Davvero Pier Luigi Ber¬sa¬ni è un uomo a cui non è stato risparmiato nul¬la: sabato pomeriggio, subito dopo la rielezione di Napolita¬no, e dunque non appena le sue dimissioni dalla segreteria so¬no diventate operative, la pri¬ma persona che s'è ritrovata in ufficio è stata Anna La Rosa.
«à passata per un saluto», sembra abbia detto il portavoce dell'ex segretario. Che però non ha vo¬lut¬o riferire i contenuti del collo¬quio. Poi, per tornare a casa, le forche caudine di un volo per Milano farcito di parlamentari festanti del Pdl. E infine una do¬menica di silenzio e solitudine, rabbia e rammarico, prima di tornare a Roma per assistere al¬la più sontuosa e argomentata sconfessione della sua intera li¬nea politica: il discorso di inse-diamento di Re Giorgio II.
Guai ai vinti, purtroppo: ma così vanno le cose, in politica e non solo, e sebbene spiaccia sempre veder cadere rovinosa¬me¬nte nella polvere chi s'appre¬stava a scalare il cielo, va detto senza cattiveria che è lui, è pro¬prio Bersani il capomastro del¬l'implosione del Pd.
Per la linea dell'abbraccio a tutti i costi con Grillo, seguita ostinatamen¬te e senza contromisure né «piani B». E per un certo modo di guida¬re il partito che tutti oggi definiscono auti¬stico, quando non peggio: inavvicinabile da chiunque non appartenesse al ristrettissi¬mo cerchio del «tortellino magi¬co» - Errani, Migliavacca, Go¬tor - Bersani non ha mai vinto perché non ha voluto convince¬re nessuno.
Per un curioso paradosso, il suo destino si apre e si chiude sotto il segno di Beppe Grillo. Nel 2009, quando si candidò al¬la segreteria e il Pd organizzò le primarie, Grillo chiese la tesse¬ra del partito per potervi parte¬cipate. L'iscri¬zione fu poi annullata, e proprio in quell'occasio¬ne il lungimi¬rante Fassino spiegò a Gril¬lo che «se vuol fare politica, si faccia un partito e provi a prendere i voti». Bersani vinse le primarie, e Grillo fece il suo partito. Si sa come poi sono an¬date le cose.
Se Bersani è l'artefice politico della sua propria sconfitta - e dunque va un po' ridimensionata la battuta del Cavaliere sul¬l'avviso di garanzia per «strage di segretari» - va detto che un aiuto non indifferente gli è ve¬nuto dai suoi compagni. Riletta retrospettivamente, la pirotec¬nica partita del Quirinale è sta¬ta anche- e forse, chissà , soprat¬tutto- una gigantesca caccia al¬la lepre: dove la lepre era Bersa¬ni, e i cacciatori gli oligarchi che quattro anni fa l'avevano inco¬ronato. Marini e Prodi non sa¬ranno certo in cima alle simpa¬tie dei democrats, ma se un nu¬mero così grande di parlamen¬tari Pd non li ha votati è perché voleva votare contro Bersani.
A operazione compiuta- Ber¬sani si dimette venerdì sera ac¬cusando i suoi deputati di essere «traditori» - subito comincia il rito autopropiziatorio dello scaricabarile. Sebbene la Direzione del Pd avesse approvato all'unanimità (con la sola ecce¬zione di Umberto Ranieri) e in diretta streaming la linea del se¬gretario, la colpa della catastro¬fe improvvisamente è diventa¬ta soltanto sua.
«Il mio dissenso risale ad alcuni mesi fa», gongo¬la Rosy Bindi (peccato che nes¬suno se ne fosse accorto), pri¬ma di scatenare una gragnuola di colpi: la campagna elettorale «semplicemente non è stata fat¬ta », il nuovo gruppo parlamen¬tare «non ha consapevolezza del proprio compito», con Gril¬lo bisognava smetterla subito, e Prodi- è l'accusa più pesante, la più infamante - è stato man¬dato al massacro senza alcuna preparazione (D'Alema ieri se¬ra a Piazzapulita ha sostenuto la stessa tesi). Prima e dopo la Bindi, il fuggi fuggi è generale.
Vendola non ci pensa un attimo a buttare nel¬la spazzatura il solenne accor¬do sottoscritto di fronte a nove milioni di elettori (e che ha frut¬tato ad un partito del 2% la presi¬denza della Camera) e procla¬ma l'imminente nascita di una nuova «cosa di sinistra», la se¬sta stella (rossa) da portare in dono al nuovo profeta, Beppe Grillo.
Con lui andranno un po' di deputati girotondini come la Puppato e Pippo Civati, che neanche una settimana fa si era candidato alla segreteria del Pd. E potrebbe seguirli persino Alessandra Moretti, arruolata da Bersani come portavoce do¬po il riuscito casting di Ballarò e fra le prime, nel gioco infernale del Quirinale, a pugnalare il se¬gretario rifiutandosi di votare per Marini.
Più scaltri, i Giovani turchi ¬che del bersanismo erano la guardia d'onore - hanno già stretto un accordo di ferro con Matteo Renzi, lasciando l'in¬cauto Fabrizio Barca a racco-gliere i boat people piddini che veleggiano verso Vendola e Grillo. Per Orfini e per Fassina, che almeno hanno il pregio del realismo, la leadership di Renzi è assodata: restano soltanto da definire i particolari, cioè l'as¬setto che uscirà dal prossimo, imminente congresso.
Solo come non lo è mai stato, Bersani si presenta oggi a una Direzione che lo ha già archivia¬to e che guarda altrove, mentre i fedelissimi si aggirano sgo¬menti fra le macerie di un pote¬re ormai dissolto. Riceverà for¬se l'onore delle armi, qualcuno pronuncerà parole di circostan¬za e un lungo applauso, libera¬torio e spensierato più che com¬mosso e riconoscente, chiude¬rà per sempre il sipario.
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