DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Maria Giovanna Maglie per Dagospia
hillary clinton jimmy fallon donald trump
Obama parla, l’ultimo discorso da capo dell’esecutivo che rivendica l’operato e cerca una legacy, una eredità positiva da trasmettere alla nazione, e Trump cresce ancora nei sondaggi; l’ultimo commissionato dalla Reuters recita i seguenti numeri repubblicani: Donald Trump 41.0% Ted Cruz 14.5% Jeb Bush 10.6% Ben Carson 9.6% Marco Rubio 6.7.
Ma arrivano anche grandi sorprese dal fronte degli elettori democratici, addirittura un 20 per cento preferirebbe il miliardario a Hillary Clinton. Obama schiera nel pubblico scelto del Discorso sullo stato dell’Unione un rifugiato siriano e un soldato di religione musulmana, come segnale forte contro l'islamofobia e la xenofobia alimentate dalla campagna di Donald Trump per le nomination repubblicana alla Casa Bianca, e il democratico New York Times scrive che la maggior parte dei cittadini non condivide la visione positiva della Casa Bianca sullo stato dell'America, che in un sondaggio, condotto dallo stesso New York Times e Cbs News , il 68% delle persone risponde che gli Stati Uniti stanno andando nella direzione sbagliata, ovvero il peggior risultato degli ultimi due anni.
Obama sostiene che il pericolo degli americani liberamente armati è superiore a quello dell’Isis, e lo stesso sondaggio risponde che la maggioranza degli americani è delusa dai progressi della lotta contro i terroristi dello Stato islamico. Obama, a essere onesti, è anche sfortunato, visto che gli tocca tenere il suo discorso, elettoralmente anticipato di una decina abbondante di giorni, mentre l’Iran bombarda di missili due navi americane nel Golfo persico e arresta per ventiquattr’ore i marinai, alla faccia del generoso accordo siglato dagli Us e dall’Unione Europea sul nucleare.
Siccome i giornali americani non sono a servizio, e prima o poi la verità la scrivono,anche perché si devono tenere i lettori e non beccano un cent dallo Stato, ecco che New York Times, Washington Post e di seguito tutti gli altri ammettono la verità che l’Europa radical chic de’ destra e de’ sinistra si affanna a negare: “Il 2015 sarà ricordato come l’anno di Donald Trump”, nelle parole del WP, e “Trump non è destinato a sparire, ed è sempre più forte”, il NYT.
IL SENATORE AMERICANO JOHN MCCAIN
O, come commenta un amareggiato John McCain, senatore dell’Arizona, uomo dell’establishment e oggi contestato durissimamente dalla base elettorale, “Mai dal 1976 il partito era stato ridotto in uno stato più confuso, diviso, pietoso”. Nel 1976 il partito fece un imbroglio alla Convention per togliere la candidatura a Ronald Reagan e imporre di nuovo quel cavallo zoppo di Gerald Ford, finì che vinse quell’ameba da Nobel per la pace di Jimmy Carter, e con l’Iran, già sempre l’Iran, finì nell’umiliazione della presa dell’ambasciata Usa a Teheran.
Ma perfino nell’80, quando Reagan divenne inevitabile, i repubblicani non ci credevano, i democratici sfottevano, gli europei, de’ destra e de’ sinistra, sghignazzavano, e la battuta corrente era: “Reagan presidente? Si, vabbé, e Jerry Lewis vice”. Adesso se la prendono con il tremendo parrucchino, una volta col congiuntivo di Reagan. Adesso sfottono Trump come un pagliaccio gli stessi che, a distanza naturalmente, ci arrivano sempre dopo, incorniciano il vecchio Ronnie tra i giganti della storia.
Mentre il vertice elettorale del GOP, il Grand Old party, si interroga se il male minore per contrastare il miliardario di New York sia il senatore Ted Cruz, mezzo cubano e nato in Canadà, uomo del partito ma altrettanto estremista nel programma di Trump, mentre attendono con ansia un possibile risultato negativo in Iowa, dimenticando che poi c’è New Hampshire, South Carolina, Nevada, l’ultima trovata per rassicurare gli animi è quella che vuole un Trump magari alla fine perfino vincitore della nomination repubblicana, ma asfaltato al voto di novembre 2016 dall’avversaria democratica Hillary Clinton.
Ora, tralasciando l’avanzata preoccupante per la signora del suo avversario interno e socialista dichiarato, Bernie Sanders, un altro sondaggione fornisce un dato da brivido. Più o meno il 20 per cento degli elettori potenziali democratici voterebbero per Trump. Il sondaggio è stato effettuato la scorsa settimana, con una combinazione di questionari via internet e di telefonate,dalla Mercury Analytics di Washington; viene fornito con un margine di errore possibile del 3,5 per cento.
Il 25 per cento dei democratici, inoltre, risponde che Trump solleva alcune questioni sulle quali sono completamente d’accordo, un altro 19 per cento si dichiara in parte d’accordo. Insomma, “il pagliaccio” colpisce ancora. Il presidente di Mercury, Ron Howard, democratico che lavora per candidati di entrambi i partiti, spiega che non se l’aspettava davvero questo risultato, che era certo di un impatto forte del messaggio trumpiano, ma limitato a una parte dei repubblicani, non certo ascoltabile e recepibile dai democratici e dagli indipendenti.
Precisa che “la sfida per Hillary, se Trump ottiene la nomination e si sposta verso il centro proponendosi come l’uomo che può risolvere senza impedimenti i problemi del Paese, uno libero dai partiti, uno il cui strepitoso successo sarà la garanzia, è che i democratici non potranno più permettersi di irridere alla sua personalità, di ricorrere alle battute per squalificarlo nella testa e nell’opinione dell’elettorato”.
hillary clinton bernie sandersBERNIE SANDERS
Ma questo dalle parti della Clinton lo sanno già e si domandano come fare. Trump i soldi li ha e non dipende dalla cassaforte del suo partito o dal birignao dei finanziatori, scheletri nell’armadio invece non ne ha, al contrario di Hillary, già segretario di Stato e prima ancora gran tesoriera del marito Bill.
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