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Paolo Bracalini per “il Giornale”
«L e cose cambiano», persino per il professor Gustavo Zagrebelsky, severa vestale della moralità pubblica italiana. Dopo una lunga militanza da giurista engagé (il suo primo appello contro «la deriva costituzionale» è del 1991, seguito poi da un numero imprecisato di altri appelli) e una fiera battaglia prima contro il regime di Berlusconi quindi contro quello renziano, il presidente emerito della Consulta si è convinto che per non piombare nella Repubblica di Weimar, che comunque è «in vista», non servano più raccolte di firme tra gli intellettuali abbonati a Repubblica, ma più prosaici «compromessi».
Gustavo Zagrebelsky foto La Presse
Da portavoce delle élite resistenti, sospettato ad un certo punto di simpatie grilline tanto che il M5s provò a candidarlo alla «quirinarie» insieme al compagno di firme Rodotà, a teorico delle larghe intese? La democrazia, dice alla Stampa citando Kelsen, «è il regime del compromesso», che non va chiamato «inciucio» neppure se si fa con Silvio Berlusconi, per vent' anni combattuto da Zagrebelsky.
«Se non è un compromesso corrotto, sugli interessi, chi l' ha detto che è un inciucio per definizione? Le cose cambiano, se sono pulite, a costo di scandalizzare dico che non vedo a priori uno scandalo».
Neppure nel riabilitare Renzi, a cui il professore ha sempre contestato l' indole «oligarchica», già dagli esordi nel 2014, con un documento contro la «svolta autoritaria» del governo sottoscritto, tra gli altri, da Grillo e Casaleggio.
Dopo aver capitanato il fronte dei costituzionalisti per il No contro la riforma costituzionale di Renzi, e averlo trattato in tv come il titolare della cattedra con lo studente impreparato all' esame di diritto, l' insigne giurista non nasconde un moto di simpatia per l' ex premier che ora vede «sfibrato e sempre più isolato, vittima d' una certa viltà di coloro che ora nella difficoltà lo stanno abbandonando». Mentre dei Cinque stelle lo turba «l' indisponibilità a cercare accordi», col rischio di perdersi nella protesta.
Sarà la fascinazione per la duplicità della natura umana che gli ha fatto prediligere - lui di origini russe - Dostoevskij su tutti («Più mi addentro nei suoi personaggi e più resto turbato dall' impasto di abiezione e salvazione che essi restituiscono» raccontò in un' intervista), ma gli ex nemici del professore sembrano diventati interlocutori plausibili.
Come ha spiegato su Repubblica (in un articolo che esordisce con l' enigmatica frase «gli elettori non esistono in natura»), Zagrebelsky ritiene che in Italia il bipartitismo o il bipolarismo siano «falliti», e che quindi sia tempo di accordi, coalizioni e compromessi, «che non sono necessariamente inciuci, per usare il nostro squallido linguaggio».
Persino con Berlusconi, contro cui negli anni ha messo in fila, insieme all' associazione «Libertà e giustizia», di cui è presidente onorario, un numero considerevole di campagne: contro l'«occupazione degli spazi di libera informazione della Rai», contro la «corruzione pubblica e privata, il disprezzo della legalità e dell' uguaglianza», contro «il tentativo di ridurre al silenzio la libera stampa».
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Una militanza sfociata nella partecipazione alla manifestazione al Palasharp di Milano, nel 2011, per chiedere le dimissioni di Berlusconi. «Chiediamo che cessi questo sistema di avvilimento della democrazia» tuonò dal palco il professore. Che ora non si scandalizzerebbe per un governo di coalizione col Cavaliere. Anche questa in fondo, come il titolo della prossima «Biennale democrazia» da lui presieduta, una «uscita di emergenza».
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