FLASH! - LA SCESA IN CAMPO DEL PARTITO DI VANNACCI E' UNA PESSIMA NOTIZIA NON SOLO PER SALVINI, CHE…
Massimo Teodori per “il Foglio”
Ho l’impressione che la radice dell’ennesima esplosione di narcisismo di Marco Pannella, questa volta finalizzata a demonizzare Emma Bonino (sì, “è lei che si è messa fuori”, dalla setta), riguardi il futuro oltre che il presente. L’ossessione del leader radicale è di plasmare secondo il suo volere totalizzante non solo il passato e il presente ma anche l’avvenire.
Chi ascolta le conversazioni trasmesse da Radio radicale si rende conto che le rivisitazioni pannelliane di venti, trenta e quarant’anni fa sono imbevute del bisogno di ricostruire una storia a propria immagine e somiglianza in cui lui e solo lui è il protagonista delle situazioni a cui ha preso parte, ed anche di quelle in cui non ha avuto alcun ruolo. Analogo è lo spirito con cui affronta la realtà d’oggi racchiudendola in una gabbia terminologica che non dovrebbe far parte del vocabolario laico: “noi” (cioè io) che siamo la forza del bene ci battiamo in condizioni più avverse del fascismo contro le forze del male unite nel fascio del regime tentacolare che avvolge tutto e tutti.
In questo esasperato egonarcisismo, Pannella pensa a quello che resterà della sua immagine futura. A 85 anni è naturale che un leader che ha sempre controllato qualsiasi dettaglio di ciò che accadeva intorno, si chieda che cosa potrà accadere quando non potrà più esercitare quella presa su persone e cose che lo ha sempre caratterizzato.
In cuor suo è angustiato non solo dall’oggi cui si aggira il fantasma di “Emma che può essere ricevuta dal presidente della Repubblica in 5 minuti ed io no” e della “signora che gira il mondo per incontrare Soros, Solana, Fisher” e chi altri vuole mentre io “devo stare al partito tutti i giorni per salvare la baracca”, ma anche da un futuro (speriamo il più lontano possibile) in cui la nota radicale, non più sottoposta al controllo del suo mentore, potrà dichiararsi erede di un patrimonio politico che, invece, dovrà essere restare suo e solo suo e quindi andrà dissolto alla scomparsa di chi è stato l’alfa e l’omega radicale.
La storia radicale, per Pannella, dovrà restare per l’eternità legata alla sua persona, al suo corpo, alle sue gesta e alle sue verità trasformate in mito legato alla voce gelosamente custodita nell’archivio sonoro. Tutta la memoria di quello che fu e non è più un Partito radicale dovrà sopravvivere solo come mito pannelliano che non dovrà essere condiviso con altri. In questa luce Emma rappresenta un pericolo crescente essendo rimasta l’unica personalità politica a cui il leader ha dapprima benevolmente concesso di sopravvivere, e poi è cresciuta in autonomia resistendo alla desertificazione radicale a cui senza risparmi di energie si è dedicato Pannella.
La traiettoria della reductio ad unum è iniziata da lontano: lo scioglimento del Partito radicale con l’immediato subentro della Lista Pannella; la violenza psicologica del nonviolento per allontanare una classe dirigente che poteva rappresentare un elemento pluralista; l’accodamento elettorale a Forza Italia o ai postcomunisti di tutti salvo che il capo unico rappresentante dell’identità radicale; la sacralizzazione degli scioperi della fame e della sete come supporto del Marco adottati come permanente maniera di vivere esistenziale…
Emma Bonino arrivò a un Partito radicale ricco di personalità e competenze nel 1975, proveniente da un gruppo che gestiva gli aborti illegali a Milano, senza avere partecipato all’epopea del divorzio a cui talvolta viene erroneamente associata. Era una giovane di 27 anni nativa di Bra nel cuneese che aveva frequentato l’università milanese laureandosi in lingue, cosa che le sarebbe stata utile nei rapporti internazionali. Ricercata per quella attività illegale, si consegnò alla polizia il giorno delle votazioni del 1975 sollecitata dai dirigenti radicali quando già Adele Faccio, leader delle abortiste, e Gianfranco Spadaccia, segretario del Pr, erano stati incarcerati.
MARCO PANNELLA EMMA BONINO - Copyright Pizzi
Pannella riconobbe presto in lei un carattere volitivo congiunto a una istintiva efficienza pur in assenza di preparazione politica, per cui meritò l’esposizione in prima fila alle elezioni politiche del 1976 quando furono eletti per la prima volta 4 deputati radicali. Anche in Parlamento, più che elaborazioni proprie e approfondimenti creativi, la neodeputata dimostrò notevoli capacità di assorbire e riproporre prontamente argomenti e modalità politiche di coloro che le erano intorno, e in particolare quelli di Pannella che ha sempre apprezzato soprattutto – soltanto – la fedeltà gregaria e l’attitudine ripetitiva dei suoi modelli comportamentali.
Nacque così quella unione di fatto a forte impronta strumentale che sarebbe durata fino ai tempi recenti. Pannella voleva dalla compagna di partito fedeltà, efficienza e un megafono moltiplicatore del suo verbo e della sua verità. Bonino gli assicurava tutto ciò, essendo in grado di espandere l’iniziativa anche in aree internazionali fuori dal raggio d’azione pannelliano che non veniva mai messo in discussione.
Tra gli alti e i bassi anche in rapporto alla distanza fisica che si stabiliva tra i due (Roma, Bruxelles, Il Cairo…), le cose sono andate avanti per trent’anni con una divisione dei ruoli reciprocamente convenienti ed accettati. Bonino espandeva la rete delle sue conoscenze e stabiliva contatti grazie a modi accattivanti e mai incalzanti che si giovavano anche di una politica dell’immagine coltivata a tutto tondo.
Pannella dettava le regole della convivenza nella unione politica di fatto, usando di volta in volta il bastone e la carota per tenere la disciplina a cominciare da quando negli anni Ottanta la invitò a rimanere a Bruxelles a curare le cose europee, salvo poi esporla in Italia quando era necessario a raccogliere consensi e candidarla a qualsiasi carica, nell’impossibilità che lui stesso fosse accettato nello stesso ruolo.
Emma Bonino solitaria al parlamento europeo
Era naturale che l’unione di fatto scoppiasse: Pannella si gingillava con gli albanesi che lo acclamavano, con gli Urigui e i BurkinaFasiani, con le divise militari croate, con i cinesi che su sua iniziativa dovrebbero tradurre e adottare come bibbia il manifesto di Ventotetne, e con altre simili fantasie tra cui l’amicizia più vantata che reale con il Dalai Lama all’insegna di un fantomatico transpartito transnazionale che non è andato mai al di là di folcloristiche riunioni.
Bonino era attenta a stabilire rapporti con la gente che conta, Soros, Solana, Fisher e con la rete dei democratici e socialisti liberal d’Europa che poi l’avrebbero presa come partner privilegiato dei manifesti europei di buona volontà; Pannella si rallegrava in estenuanti riunioni tanto variopinte quanto inutili nell’azione e nel pensiero politico. Era naturale che una tale unione di fatto dovesse scoppiare. Le due parallele non erano come quelle di Moro che convergevano ma piuttosto divergevano con un angolo sempre più accentuato.
Il colpo di pistola di Sarajevo è arrivato in vista della divisione delle scarne spoglie di un Partito radicale posseduto completamente in tutte le accezioni da Pannella, cioè di un partito che non può esser definito una entità collettiva ma solo un prolungamento del corpo di Pannella, un apparato ventriloquesco destinato ad estinguersi alla scomparsa della voce che l’anima, nonostante l’impegno e la buona volontà di qualche centinaio di militanti che se non assentono diventano i nemici dei “veri radicali” tra cui oggi non può più essere annoverata Emma Bonino.
Certo l’ex giovane abortista, che ha meritato di divenire figura centrale del partito radicale, è assai lontana dallo spirito rigoroso di pensiero e d’azione della migliore storia del radicalismo italiano che non è mai stato accomodante con la tradizione comunista/postcomunista e democristiana/postdemocristiana. Il suo profilo e la sua vicenda sono piuttosto quelli di una femminista liberalprogressista che non dispiace a moderati e a progressisti, come hanno dimostrato le sue amicizie politiche.
Ma questa è proprio la figura in carriera di cui si è sempre servito Pannella pensando che avere accanto una persona docile ed efficiente sarebbe stato utile ai suoi interessi narcisistici. In questa logica di amplificazione e utilizzazione della notevole risorsa Bonino, il leader storico ha azzerato tutto il resto della politica radicale per restare circondato da un gruppo di corifei plaudenti le sue parole d’ordine sempre più vuote, ripetitive fino a divenire – purtroppo – grottesche come nell’ultima iniziativa per la transizione verso lo Stato di diritto da perseguire con qualche arabo e islamico di passaggio.
A pochi ormai può interessare la vicenda Pannella-Bonino se non sul piano del gossip, perché si tratta della coda di una storia purtroppo esaurita che avrebbe meritato ben altro respiro. Una storia che, dalla parte pannelliana è stata ridotta al lamento narcisistico di chi non è più preso in considerazione né dall’opinione pubblica né da significativi interlocutori. E dalla parte boniniana si scolora in una brillante carriera individuale che ha poco a che fare con quella piccola ma pugnace forza politica laica, liberale e democratico-riformista che fu il Partito radicale nella stagione peraltro sempre evocata delle vittorie civili..
Entrambi avrebbero potuto guardare con più generosità personale e maggiore acume politico agli interessi del paese – forse più il Pannella in possesso di una naturale leadership sprecata che non la Bonino destinata per vocazione alla co-partnership – liberandosi dalle pulsioni e dalle convenienze individuali, diverse ma parallele, che hanno impedito alla coppia scoppiata di rinvigorire un gruppo radicale di cui più che mai si sente la necessità nel deserto della politica italiana.
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