COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Ilario Lombardo per “la Stampa”
L'improvvisa attenzione di Giuseppe Conte per Matteo Renzi e la sua truppa non nasce a caso e non nasce solo a Palazzo Chigi. Al premier, che ha imparato a leggere meglio le cose della politica, non è sfuggito il senso delle indiscrezioni fatte trapelare con accorto tempismo dal Quirinale. Sergio Mattarella pronto a sbarrare la strada a qualsiasi altra alchimia di governo e intenzionato, in caso di crisi, a riportare l' Italia al voto è suonato come un monito diretto più al presidente del Consiglio che all' indisciplinato Renzi. Il messaggio è diventato ancora più chiaro nel corso di un confronto diretto con il Colle.
Conte ha capito che è arrivato il momento di fissare una tregua, raccogliere i cocci di una maggioranza arrivata pericolosamente sul baratro. In questo senso, parlare con Italia Viva, incontrare la delegazione dei renziani di Camera e Senato, non è stata una scelta, ma un obbligo. Accontentare Renzi, che chiedeva «un gesto politico», riconoscerne la legittimità come partito di maggioranza al pari degli altri, e la forza basata sui numeri in Parlamento.
Brucia ancora, per l' ex rottamatore, il passaggio dell' intervista a La Stampa, nel quale il premier, alla domanda sui complicati rapporti con Iv, usa con malizia i numeri dei sondaggi in discesa per Renzi e si dice sempre disponibile ad ascoltare le proposte e chi le sostiene «al di là se è rappresentativo del 2 o del 25 per cento del Paese».
Infuriato e intenzionato a rinfacciargli questo pizzino avvelenato, l' ex leader del Pd dà mandato ai suoi uomini di ricordare al presidente del Consiglio che «sono i seggi in Parlamento a contare». Il colloquio di Conte con Ettore Rosato, Maria Elena Boschi, Davide Faraone e la ministra Teresa Bellanova dura due ore. «A tratti duro» commentano i renziani all' uscita. Si accordano per rivedersi a breve, tra sette-dieci giorni, in modo da raccogliere le idee e stilare un elenco di proposte.
sergio mattarella giuseppe conte
Da lì dovrebbe nascere un' agenda condivisa per affrontare i capitoli più delicati della Fase 2 sminando il terreno da prevedibili incomprensioni. Ma è addentrandosi di più nel racconto di come è andata che si può comprendere quanto il rapporto con il premier sia piegato da sospetti e distanze.
Il gelo dei primi minuti di confronto viene rotto con difficoltà. «Lo so che volete qualcun altro seduto al mio posto», dice un po' scherzando Conte. Rosato porta subito la discussione sulla difficile convivenza: «Siamo tagliati fuori da tutto, veniamo a conoscere le decisioni da altri». Nessuno in quella stanza crede davvero alla possibilità del voto.
Fare la campagna elettorale, mandare gli italiani alle urne, in queste condizioni, con le mascherine e il distanziamento, mentre il governo non è ancora in grado di dare certezze sulle vacanze? Chiunque, dentro l' esecutivo o in maggioranza, risponde allo stesso modo: «Impossibile». Persino Silvio Berlusconi fa sfoggio di realismo politico e dice che si andrà avanti così perché «pensare oggi, in piena emergenza, a un cambio di governo è prematuro». E allora, costretti a restare assieme, Conte e IV devono definire le condizioni di una pace più duratura, ben sapendo che Renzi non mollerà i suoi piani.
Il premier è pronto a offrire aperture sui programmi, ma all' incontro si evoca anche un orizzonte di verifica sulla componente di Iv al governo. Un' ipotesi di rimpasto che resta sullo sfondo. Prima i renziani vogliono le prove di una vera disponibilità. Sull' economia, Conte ha già aperto a un ammorbidimento dell' intervento dello Stato dentro le imprese e a questo punto non si esclude una forma di detassazione per la capitalizzazione delle aziende. Su agricoltura e immigrati, Conte assicura a Bellanova di aver convinto il M5S a un compromesso accettabile per entrambi. Resta la spinosissima questione della giustizia.
nino di matteo alfonso bonafede
Il premier chiede di fermare gli attacchi al ministro Alfonso Bonafede alle prese con i boss mafiosi scarcerati per il coronavirus e nel pieno della bufera scatenata dalle accuse del pm Nino Di Matteo. In cambio i renziani vogliono una concessione sulla prescrizione ma assicurano che non c' è mai stata una reale intenzione di votare la mozione di sfiducia al Guardasigilli presentata dalla Lega. Sarebbe anche difficile da spiegare come mai il partito nato per combattere le derive giustizialiste della politica abbia ceduto alla tentazione di assecondare la sentenza espressa da un magistrato in un talk show.
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