DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Francesca Caferri per “la Repubblica” - Estratti
Forte della vittoria scontatissima alle elezioni presidenziali del 10 dicembre, Abdel Fattah al-Sisi è tornato. Il presidente egiziano è il grande protagonista degli ultimi giorni di trattativa in Medio Oriente: i suoi emissari per giorni hanno messo a punto una proposta di cessate il fuoco fra Hamas e la Jihad islamica da una parte e Israele dall’altra. E anche se il piano al momento non sembra aver raccolto i consensi necessari, ha raggiunto il suo obiettivo primario: rimettere il presidente egiziano al centro della scena.
A rafforzare Al Sisi non è il risultato delle urne: l’89,6 per cento dei consensi annunciato dalla commissione elettorale il 18 dicembre ha fatto sorridere gli analisti, che partivano dal 97 per cento delle tornate precedenti. Piuttosto, è la geografia: «La crisi ha fornito all’Egitto una nuova possibilità di ristabilire la sua reputazione come attore regionale – spiega Marina Ottaway, analista del Woodrow Wilson center – ma non solo: ha anche avvicinato il governo e i cittadini, perché entrambi si sentono minacciati dal possibile afflusso di rifugiati nel Sinai. E l’appoggio popolare dà al regime una maggiore libertà di azione».
In questo scenario, Il Cairo ha giocato le sue carte con attenzione: nella prima fase della trattativa, i servizi segreti egiziani sono rimasti un passo indietro, lasciando che a condurre il dialogo fra Israele e i gruppi armati palestinesi fosse principalmente il Qatar dell’emiro Tamim al Thani.
Ma ora la situazione è cambiata: e l’interruzione dei rapporti fra la leadership militare di Hamas (che è nella Striscia) e quella politica, (che fa base a Doha) causata dalla pressione militare israeliana ha portato in primo piano l’Egitto. Che con i leader militari comunica direttamente: che appartengano ad Hamas o alla Jihad islamica.
È in questo quadro che va letta la proposta di cessate il fuoco presentata in questi giorni: il piano è il più completo avanzato finora. Prevede tre fasi di rilascio degli ostaggi israeliani, un’interruzione dei combattimenti e la possibilità per gli abitanti della Striscia di tornare al Nord.
Finora Israele non si è espresso ufficialmente, mentre sia Hamas che la Jihad islamica hanno respinto la proposta. Una fonte egiziana di alto livello ha detto a un media locale che la proposta di cessate il fuoco e scambio di ostaggi era preliminare e sarebbe stata ampliata solo dopo aver ricevuto risposte da tutte le parti.La spaccatura sarebbe su diversi punti: il numero e i nomi dei prigionieri palestinesi che dovrebbero essere rilasciati in cambio degli ostaggi. Il completo ritiro israeliano dal territorio della Striscia chiesto dai militanti.
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In attesa di una svolta ieri al Cairo è volato il re giordano, Abdallah: lui e Al Sisi non si amano ma dal 7 ottobre hanno un interesse comune. Evitare che l’ipotesi avanzata da Israele all’inizio dei combattimenti, quella del trasferimento di decine di migliaia di abitanti della Striscia nei due Paesi, diventi realtà.
Né la Giordania né l’Egitto, entrambi in piena crisi economica e con leader in difficoltà, sarebbero in grado di assorbire il colpo. L’Europa lo sa e per prima, già da ottobre, ha fatto sapere a Israele di essere assolutamente contraria al piano: ma l’aumento della pressione militare israeliana sta spingendo la popolazione di Gaza sempre più a Sud, verso l’Egitto, e il rischio che migliaia di persone disperate si affollino sul confine per uscire è reale. Consapevoli di questo, Europa e Stati Uniti sanno che mantenere l’Egitto stabile, in una regione tanto instabile è una priorità assoluta: lo era prima del 7 ottobre, lo è ancora di più oggi. Con buona pace dei diritti umani e di chi continua a invocarne il rispetto. Al Sisi lo sa: e forte di questo dopo la pausa elettorale ha ripreso la sua partita. Giocando da protagonista.
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