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Fabio Martini per “la Stampa”
Nel Transatlantico di Montecitorio, tradizionale crocevia di chiacchiere e di trame, da qualche giorno proliferano i capannelli “monoteistici”, quelli nei quali si ritrovano i deputati “fedeli” ad un unico candidato Presidente ed è proprio da questi crocchi che talora partono tam-tam avvelenati contro i concorrenti. L’espressione più usata è: «Sì, ma...». Padoan? «Sì, ma il decreto fiscale...». Veltroni? «Sì, ma Odevaine...».
Mattarella? «Sì, ma all’estero chi lo conosce?». Un brodo di coltura nel quale cuociono malignità di ogni tipo, lasciate correre al solo scopo di screditare, con l’idea che qualcosa resterà. Roba che ogni tanto finisce, con grande rilievo, sui giornali: in una stagione di anti-politica “vanno” molto gli anatemi anti-casta, anche se talora attingono a notizie false. Come nel caso di due ex presidenti del Consiglio e dell’attuale ministro della Difesa.
Giuliano Amato, ad esempio, si trascina da anni la nomea di cumulatore di pensioni e la diceria è ricominciata a circolare nei giorni scorsi. Ma da oltre un anno, da quando è giudice della Corte Costituzionale, Amato percepisce unicamente lo stipendio della Consulta, senza cumuli, né con la pensione, né con altro: da anni l’ex presidente del Consiglio gira il suo vitalizio da ex parlamentare ad un istituto di beneficienza, mentre per quanto riguarda la pensione, subito dopo la nomina alla Corte Costituzionale ha fatto domanda di auto-sospensione all’Inps e vi ha rinunciato.
Anche Romano Prodi è periodicamente preso di mira, nonostante il Professore abbia detto, senza se e senza ma, di non essere interessato al Quirinale, anzi di essere amareggiato per essere coinvolto una volta ancora nel consueto tritacarne. Nei giorni scorsi è stato pubblicato, con grande rilievo da un giornale di centrodestra, che il monte-pensioni del Professore ammonterebbe a 15 mila euro al mese. In realtà la cifra denunciata (e cumulata in conseguenza di attività a suo tempo svolte) si riferiva al lordo e dunque corrispondeva al doppio di quanto effettivamente percepito.
la concordia a genova matteo renzi roberta pinotti 28
Anche il ministro della Difesa Roberta Pinotti è stata messa nel mirino “politico-mediatico” perché, di ritorno da un vertice Nato in Galles, era rientrata a Genova a bordo di un volo militare. L’accusa iniziale, dei Cinque Stelle e poi ripresa da un quotidiano, era quella di aver utilizzato un “volo di Stato” per uso privato. Quattro entità si sono occupate del caso (Procura Militare, di Roma, Tribunale dei ministri, Corte dei Conti) e per tutte e quattro il “non luogo a procedere” è stato inequivocabile.
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