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DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Francesco Bei per "La Repubblica"
La paura cresce con le ore. Nessuno sa cosa possa risalire da quel pozzo nero in cui è precipitata l'affluenza, soprattutto a Roma. Un crollo inimmaginabile, capace di ribaltare pronostici troppo ottimistici, una caduta verticale della partecipazione.
Che ha gettato nello sconforto i responsabili dei partiti di maggioranza e suscitato apprensione anche al Quirinale. «E di questi tempi tutto viene scaricato sul governo», sospira preoccupato un ministro di peso. A temere più di tutti le conseguenze della disaffezione dei romani è proprio Enrico Letta, nonostante l'intesa stretta con Alfano per tenere palazzo Chigi al riparo dagli effetti del dopo voto.
«Se dovessimo perdere la sfida delle città - è il ragionamento che il premier ha fatto in questi giorni - si aprirebbe un periodo di turbolenza pericolosa. E proprio nel momento più delicato».
Alle prese con una difficilissima trattativa a Bruxelles, con i fondi da trovare per l'Iva e l'Imu, con il gigantesco dramma dell'Ilva, per Letta lo sfarinamento del pilastro su cui si regge il governo sarebbe esiziale.
Sarebbe una guerra di tutti contro tutti, una caccia al colpevole, con il Congresso che a quel punto non potrebbe più essere rinviato. Perché stavolta è il Pd a essere nell'occhio del ciclone. Sia perché una sconfitta di Alemanno ormai è già stata metabolizzata e non produrrebbe effetti sul centrodestra, sia perché a Roma il candidato di centrosinistra è stretto tra due fuochi - Alfio Marchini e M5S - e il Pd sembra come evaporato.
Lo stesso Ignazio Marino non sembra avere il polso della città . Tanto che ieri a mezzogiorno, poco prima che il Viminale diffondesse il primo dato raggelante sulla disaffezione delle urne, al seggio si è detto convinto «che le romane e i romani risponderanno con la solita grande affluenza».
Chi invece dorme sonni tranquilli è Silvio Berlusconi, che ieri veniva ancora dato in Sardegna. Sempre poco convinto della scelta di Alemanno, il Cavaliere si consola con i sondaggi sul Pdl. à vero che il governo di larghe intese, secondo le ultime rilevazioni, non scalda i cuori della gente e questo potrebbe riflettersi nella scarsa affluenza alle urne. Ma per Berlusconi il problema riguarda solo il Pd: «I nostri elettori hanno capito e apprezzano. Tanto che nei sondaggi restiamo vicini al 35%».
Certo, se inizia a prevalere il disincanto, è facile che la scarsa partecipazione penalizzi alla fine un po' tutti. «Quando non c'è un traino politico, una scelta politica chiara - riflette Sandro Bondi - la stanchezza si fa sentire di più. E basta parlare con la gente per capire quanta disillusione ci sia in giro». Per Bondi questa malattia colpisce comunque il Pd
più di ogni altro, un partito «in grande crisi, con i militanti che si sentono sbandati. In questa situazione un Marchini può trovare terreno fertile».
à proprio l'effetto "Arfio" quello che potrebbe farsi sentire nella Capitale e produrre un cataclisma. Gli ultimi sondaggi pubblici davano l'imprenditore lontano dalla possibilità di arrivare al ballottaggio, inchiodato tra l'8 e il 10 per cento, ma con questo livello di astensione ogni previsione diventa più effimera.
Dal comitato di Alemanno riconoscono che «l'affluenza così bassa può essere un vantaggio per gli outsider, Marchini e il grillino De Vito». Anche dal quartier generale dell'ex "costruttore rosso" iniziano a sperare in un clamoroso errore dei sondaggi:
«Per noi questo crollo dell'affluenza è un'opportunità - ammette uno degli spin doctor di "Arfio" -, dopo quelle che è successo alle elezioni nazionali, tutti gli schemi sono saltati. Il 78% dei romani non risponde ai sondaggi. E il caso Bersani dimostra che il candidato che vince le primarie spesso è anche quello che perde le secondarie, cioè le elezioni vere».
Illusioni? Probabile. Fatto sta che anche una vecchia volpe come Luciano Ciocchetti, uscito dall'Udc per sostenere Alemanno, sente tirare una brutta aria: «Se l'affluenza cala verso il 15 per cento è evidente che si apre una partita diversa. à il segno di una disillusione totale tra gli elettori, ne vedremo delle belle».
Nel Pd, quando alle dieci e mezza il Viminale diffonde l'ultimo dato sull'affluenza, un drammatico «-19,5%», molti iniziano a temere il peggio. Goffredo Bettini, il regista della candidatura di Marino, invita i dirigenti che lo chiamano a mantenere la testa fredda, visto che i sondaggi non possono aver incorporato un margine d'errore così largo da far intravedere a Marchini il ballottaggio.
Eppure nessuno se la sente di commentare. E il silenzio tombale intorno al crollo della partecipazione, al di là delle battute sull'effetto «derby», fa capire quanto sarà lunga la notte del Pd. In attesa di vedere se da quel pozzo nero è risalito un mostro.
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