"CHIESI A DELL'UTRI SE FOSSE PREOCCUPATO PER IL PROCESSO?' MI RISPOSE: 'HO UN CERTO TIMORE E NON……
Liana Milella per "la Repubblica"
In giro c'è di nuovo aria di bavaglio. Di legge bavaglio, s'intende. Di una legge che renda più difficile per i pm chiedere le intercettazioni e praticamente impossibile per i giornalisti pubblicarle. Dopo il caso Napolitano-Macino ormai da giorni se ne parla con insistenza quotidiana a palazzo Chigi e anche in via Arenula. Il Quirinale non è estraneo a tutto questo perché, come lo stesso presidente ha detto pubblicamente, una riforma degli ascolti è necessaria.
Lui lo ha sempre pensato, pur opponendosi più volte al bavaglio totale e tombale ipotizzato dalla coppia Berlusconi premier-Alfano Guardasigilli. Lui ha sempre chiesto una riforma condivisa che, dal suo punto di vista, limiti gli eccessi, ma non uccida al contempo tre diritti, quello di indagare, quello di tutelare la propria privacy, quello di dare le notizie.
Esclusa la via del decreto, su cui pure si è ragionato nelle stanze del governo, ci si è concentrati sul disegno di legge, sul suo contenuto, sui possibili tempi di approvazione.
Una nota del responsabile Giustizia del Pd Andrea Orlando, a metà pomeriggio, conferma che le voci di decreti o nuovi ddl non sono pura fantasia cronistica, ma l'effetto di un dibattito che si sta svolgendo nei piani alti. Fonti di rilievo riferiscono che lo stesso Quirinale avrebbe più volte sondato le intenzioni del ministro della Giustizia Paola Severino per capire quando e in che forme questa legge può essere portata avanti.
«Non penso che ci siano i requisiti di necessità e urgenza per un decreto» dichiara Orlando, un timbro di autenticità il suo sulla trattativa riservata, pubblicamente da tutti smentita, che in effetti si è svolta tra governo e maggioranza, dove si è ragionato sull'ipotesi di un decreto legge nel quale inserire soprattutto nuove regole sui criteri di pubblicazione. «Si assuma la via più semplice, si presenti il ddl e poi si discuta».
Questo suggerisce il Pd con Orlando, spiegando che dopo tre anni di scontri dilanianti sulla famosa legge Alfano ora la via maestra è quella di presentare un ddl del governo «anche per superare l'ostacolo della "doppia lettura conforme" su norme che avevano visto il nostro parere contrario». In soffitta per sempre il vecchio ddl Alfano, fermato dallo stesso Napolitano, testo inemendabile perché il sì della Camera nel 2009 e quello del Senato nel 2010 hanno cristallizzato delle parti che ormai, proprio per via della doppia lettura già avvenuta, non possono più essere cambiate e che il Pd vuole cambiare.
Ma proprio qui sta il punto. Severino dovrebbe presentare una sua legge. Sulla quale ha pur riflettuto in questi mesi. Preoccupata soprattutto di evitare una trattativa sottobanco con l'anti-corruzione e la norma sulla responsabilità civile dei giudici.
Adesso, sul piatto politico, non solo ci sono anche i tribunalini e il filtro in appello inserito nel decreto sviluppo, ma c'è soprattutto lo scontro tra il Quirinale e i magistrati di Palermo proprio sulle intercettazioni. Severino, cui preme soprattutto portare a casa quanto prima anti- corruzione, tribunalini e filtro, mal vede un contemporaneo tuffo anche sulle intercettazioni. Meglio un rinvio, cercando di incassare leggi in attesa da fin troppo tempo. Meglio raffreddare il clima evitando che qualcuno possa dire che si sta facendo una legge su misura del Colle.
I tempi della Camera, in vista della pausa estiva che, se pur breve tuttavia ci sarà , aiutano indirettamente la tesi di Severino: tanti decreti da occupare qualsiasi spazio disponibile per un voto. Ma per il bavaglio è solo un rinvio di qualche settimana.
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