DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1 - WIESEL RESTITUISCE LA MEDAGLIA UNGHERESE
Alessandra Farkas per il "Corriere della Sera"
Elie Wiesel contro la deriva nazionalista, antisemita e xenofoba dell'Ungheria dell'era Orbán. Il Nobel per la Pace di origine rumeno-ungherese ha rispedito al governo di Budapest la Grande Croce dell'Ordine al Merito della Repubblica, massima onorificenza ungherese, in segno di protesta per la partecipazione dello speaker dell'assemblea nazionale Là szlo Kovér a una cerimonia per commemorare un eroe magiaro nazista.
«E' con profondo sgomento e indignazione», recita la missiva inviata a Kovér dallo scrittore, «che ho appreso della sua partecipazione, insieme al Segretario di Stato per la cultura Géza Szòcs, e al presidente del partito di estrema destra Jobbik, Gabor Vona, a una cerimonia in Romania per commemorare Jòzsef Nyiro, membro del partito nazista ungherese».
«E' oltraggioso che il presidente del parlamento possa partecipare a un evento in onore di un ideologo fascista dell'era Horthy e Szà lasi», prosegue il più illustre sopravvissuto ad Auschwitz, considerato il leader morale degli ebrei della diaspora. «Questa inquietante notizia segue la riesumazione della pratica di dedicare gli spazi pubblici alla memoria di Horthy», continua, «e di riabilitare Albert Wass e altri personaggi che collaborano intensamente con il regime fascista ungherese».
Il suo «j'accuse» non si limita a strade e piazze. «Sono anche venuto a conoscenza che gli scritti di intellettuali di estrema destra sono sistematicamente introdotti nei curriculum scolastici ungheresi», puntualizza. Non è la prima volta che Wiesel leva il suo grido di dolore contro la recrudescenza antisemita dell'Ungheria, secondo gli storici uno dei paesi esteuropei che non ha mai fatto i conti col proprio passato.
Durante una visita ufficiale nella capitale magiara, nel dicembre 2009, Wiesel lanciò l'allarme in un discorso di fronte al Parlamento. «Da allora è sempre più evidente che le autorità ungheresi promuovono l'occultamento di eventi tragici e criminali del loro passato».
2 - ALICE WALKER: «NON VOGLIO IL MIO LIBRO IN ISRAELE»
Alessandra Farkas per il "Corriere della Sera"
Nel giugno 2011 era a bordo di una delle imbarcazioni della flottiglia che mirava a rompere l'embargo navale imposto da Israele su Gaza. E in un'intervista alla rivista Foreign Policy, nello stesso anno, ha definito Israele e Usa come «organizzazioni terroristiche». Ma adesso Alice Walker si è spinta ben oltre, vietando, addirittura, allo Stato Ebraico, il diritto di ripubblicare «Il colore viola», la sua opera più famosa, vincitrice del premio Pulitzer nel 1983.
«Caro Editore», inizia la lettera inviata alla casa editrice israeliana Yediot Books dall'autrice che negli ultimi anni si è distinta più per l'attivismo politico che per le opere letterarie, «la ringrazio molto per la sua richiesta di pubblicare Il colore viola ma in questo momento non mi è possibile concederle il permesso». Il motivo? «Lo scorso autunno in Sud Africa, il Tribunale Russell sulla Palestina ha stabilito che Israele è colpevole di apartheid e della persecuzione del popolo palestinese, sia all'interno di Israele che nei Territori occupati».
La lettera ripropone le vecchie accuse mosse dalla Walker in passato. «Sono cresciuta sotto l'apartheid americano ma quello israeliano è di gran lunga peggiore», prosegue la missiva, «molti sudafricani, tra cui Desmond Tutu, considerano la versione israeliana di questi crimini peggiore persino di quella da loro subita sotto i regimi di supremazia bianca che hanno dominato il Sud Africa per così tanto tempo».
La 68enne Walker, che dal 1967 al 1976 è stata sposata all'avvocato ebreo e attivista per i diritti civili Mel Leventhal, tira in ballo il regista Steven Spielberg, un altro celebre ebreo, per giustificare la sua posizione. Quando nel 1985 furono terminate le riprese del film tratto dall'omonimo romanzo (e poi nominato a ben 11 Oscar) Spielberg avrebbe deciso di non distribuirlo nel Sud Africa devastato dall'apartheid, proprio dietro consiglio della Walker. Una decisione di cui la scrittrice va ancora fiera.
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