MA CHE SEI VENUTO AFFA’? - LA VISITA ‘’STORICA’’ DI AHMADINEJAD AL CAIRO SI RIVELA UN’UMILIAZIONE PER IL LEADER IRANIANO - IN 20 MINUTI DI COLLOQUIO, MORSI HA RIBADITO LA SUA OPPOSIZIONE AD ASSAD E AGLI SCIITI, SOSTENUTI DA AHMADINEJAD - MA IL RITORNO IN PATRIA SI PREANNUNCIA PURE PEGGIORE: IL LEADER È ORMAI ALLA FINE DEL MANDATO, E GIÀ NON HA PIÙ POTERE...

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1 - AHMADINEJAD AL CAIRO. TRENT'ANNI DOPO
C. Zec. Per il "Corriere della Sera"

Tappeto rosso, onori militari e baci sulle guance del raìs Mohammad Morsi in persona, ieri mattina all'aeroporto del Cairo. E l'ospite tanto riverito, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, raggiante per quell'accoglienza impensabile solo qualche mese fa. La visita iniziata ieri in Egitto è infatti la prima di un leader della Repubblica Islamica da quando, nel 1980, le relazioni bilaterali furono interrotte in seguito alla rivoluzione khomeinista, all'ospitalità e poi ai funerali di Stato concessi allo Scià di Persia da Sadat, alla pace firmata da quest'ultimo con Israele. Un'altra première storica, lo scorso agosto, era stata la missione di Morsi a Teheran per il vertice dei Non allineati, primo capo di Stato egiziano a mettere piede in Iran da oltre 30 anni.
Ma come quell'evento ha poi mostrato, l'apparenza non è necessariamente sostanza. Ovvero, la dichiarata speranza di Teheran in una piena riconciliazione con il Cairo e la simmetrica paura del Golfo, di Israele e dell'Occidente che si crei un asse Egitto-Iran per ora sembrano infondate. Perché al di là dei baci e degli onori, il primo dei tre giorni cairoti di Ahmadinejad è stato un mezzo (se non intero) fallimento.
Nei 20 minuti di dialogo con Morsi, i due leader hanno discusso su «come migliorare i rapporti bilaterali e risolvere il conflitto siriano senza interventi militari». Gli esiti dell'incontro non si conoscono ma è improbabile che sia cambiato qualcosa dalle recenti posizioni. In Siria, l'Iran è schierato con Assad, l'Egitto ne chiede invece la testa. E già in agosto a Teheran Morsi aveva dichiarato pubblicamente di opporsi «a Damasco e a tutti i suoi sostenitori», mettendo in forte imbarazzo i padroni di casa. Il raìs del Cairo aveva poi offerto il pieno ripristino delle relazioni in cambio dell'abbandono di Assad, cosa mai avvenuta.
E non è solo questione di Siria. Per i Paesi del Golfo, insostituibili sponsor economici dell'Egitto, l'Iran è un nemico tout court, perché sciita e difensore di sciiti in tutto il Medio Oriente, perché insiste sul nucleare. «E la sicurezza del Golfo è una linea rossa che l'Egitto non supererà», ha dichiarato ieri il ministro degli Esteri Mohammed Kamel Amr, relegando in secondo piano i rapporti con l'Iran.
Incassata la «lezione» di geopolitica, Ahmadinejad ne ha poi dovuta ascoltare una di teologia, altrettanto deludente per lui. Arrivato facendo il segno V di vittoria al colloquio con il Grande Imam di Al Azhar Ahmed Al Tayyeb, il presidente iraniano si è sentito dire che il più prestigioso centro mondiale dell'Islam sunnita «respinge in modo categorico ogni tentativo sciita di intromettersi nei Paesi sunniti, a partire dal nostro fratello Bahrein», e «condanna le discriminazioni dei sunniti in Iran».

Non solo: «Avversiamo ogni tentativo di diffondere la fede sciita in Egitto», ha detto Al Tayyeb, in linea con il Fratelli musulmani e ancor più con i loro alleati salafiti. Ieri mattina la fondazione del partito islamico ultraconservatore Al Nur aveva intimato a Morsi di essere chiaro con Ahmadinejad nel ribadire l'appoggio dell'Egitto a tutte le nazioni sunnite e nel condannare il regime siriano e chi lo protegge. Se non bastasse, un cittadino siriano ha tentato di aggredire il presidente iraniano durante una visita alla moschea di Hussein, a pochi passi da Al Azhar.
E non che oggi e domani si annuncino molto migliori per il leader di Teheran. Al summit dell'Organizzazione della cooperazione islamica, i suoi 57 Paesi discuteranno soprattutto di Siria. E nella bozza del documento finale che già circola al Cairo tutta la responsabilità delle violenze è addossata al governo di Damasco e, ancora una volta, a chi lo sostiene. Non sarà facile per l'ospite illustre, baciato e onorato, difendere le posizioni di Teheran. Forse potrà consolarsi con il fatto di essere il primo leader iraniano arrivato sul Nilo da decenni. E con la prevista visita alle Piramidi.

2 - LA RESA DEI CONTI A TEHERAN
Cecilia Zecchinelli per il "Corriere della Sera"

Ha lasciato l'Iran per la sua storica visita al Cairo in un momento difficile, il presidente (ormai uscente) Mahmoud Ahmadinejad. Lunedì notte, poco dopo la sua partenza, l'ex intoccabile Saeed Mortazavi è stato arrestato e condotto nel carcere di Evin. Procuratore generale di Teheran fino al 2009, Mortazavi era chiamato dall'opposizione il «macellaio della stampa» per aver fatto chiudere 120 giornali e arrestare decine di giornalisti prima ancora del grande massacro del 2009, con le proteste dell'Onda verde, in cui ebbe un ruolo feroce.

Era sotto inchiesta dal 2010 proprio per la morte in cella di numerosi manifestanti fermati dopo la rielezione di Ahmadinejad. Ma il suo arresto di lunedì è politico. Perché Mortazavi è un grande alleato del presidente e un grande nemico, di conseguenza, della Guida Suprema Ali Khamenei. La guerra aperta tra i populisti del presidente e i conservatori del successore di Khomeini è in corso dal 2011, quando Ahmadinejad iniziò a dissentire in pubblico dall'onnipotente Khamenei.

Ma l'avvicinarsi delle elezioni presidenziali di giugno sta accelerando la resa dei conti. Ahmadinejad non potrà correre per il terzo mandato, e il suo potere in patria è già molto ridotto. Secondo gli analisti, è stato «tenuto in vita» da Khamenei solo come capro espiatorio, ovvero per essere indicato al Paese come responsabile della crisi economica dovuta anche alle sanzioni.

Ma, uno dopo l'altro, i suoi principali alleati sono stati eliminati e, nella totale assenza dell'opposizione liberale, l'ipotesi che un uomo di Khamenei diventi il nuovo presidente è una certezza. C'è il probabile candidato a questa carica dietro l'affaire Mortazavi: il presidente del Parlamento Ali Larijani, protégé di Khamenei. Ahmadinejad, sabato scorso, aveva portato in Parlamento la registrazione di un colloquio di Mortazavi con un fratello di Larijani, da cui sarebbe risultato il tentativo di corruzione da parte di quest'ultimo. Ma il nastro era inascoltabile, l'accusa si era trasformata in farsa.

Larijani ne era uscito vincitore e si era vendicato su Mortazari. Insomma un pasticcio all'iraniana. «Un atto odioso, il potere giudiziario appartiene al popolo e non a una famiglia», ha reagito ieri Ahmadinejad, furioso, riferendosi ai Larijani (un fratello è capo dell'autorità giudiziaria). Ma ad ascoltarlo sono sempre meno. E anche la promessa di «mettere a posto tutto al mio ritorno a Teheran» sembra un'illusione.

 

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