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Conchita Sannino per “La Repubblica”
Il suo piccolo e prevedibile “deserto”, lo sta attraversando ora. Un paio di sandali infradito appesi ad asciugare alle sbarre. Neanche una croce alle pareti bianche e spoglie, mentre una lunga riga d’acqua fuoriesce dalla doccia oltre alla porta, e bagna al centro il pavimento della sua cella. Singola.
«Francamente non mi aspettavo di essere qui. Ho sempre collaborato con i magistrati », mormora il detenuto Marco Milanese, bermuda e t-shirt, una “matricola” nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, l’ex potente consigliere che è stato a lungo l’ombra del ministro Giulio Tremonti e che ora saluta con un velo di imbarazzo i due visitatori istituzionali: il senatore Ciro Falanga e il consigliere regionale Angelo Marino, di Fi. Accanto a Milanese, sul piccolo tavolo, il romanzo di Wilbur Smith, “La legge del deserto”, storia di rapimento, pirati somali e avventurose fughe sullo sfondo di affari petroliferi.
Eccolo, a Santa Maria Capua Vetere, nel casertano, il carcere dove passano l’estate gli “eccellenti” della Finanza ritenuta corrotta. In una palazzina in via di restauro, quella destinata un tempo alle donne, c’è Milanese: già sotto processo a Roma e a Napoli, ora arrestato per aver intascato 500mila euro di tangenti da Giovanni Mazzacurati, il presidente del Consorzio Venezia Nuova.
In un’altra cella, anch’egli da solo, occhialini in mano e lo sguardo rivolto fuori, è detenuto il generale Emilio Spaziante, ex comandante in seconda della Finanza, anch’egli travolto dall’inchiesta di Venezia e indagato anche a Napoli. «Scusate ma non leggo giornali, e non commento mai: difficilmente la verità sta nascosta dentro gli atti giudiziari», riflette calmo il generale.
Ancora più distante, sta rinchiuso il colonnello Fabio Massimo Mendella: sotto accusa per avere intascato, per i pm Piscitelli e Woodcock di Napoli, un milione di tangenti in cinque anni, dai fratelli Pizzicato a capo di un impero. Un colonnello lanciatissimo, Mendella e legato al generale Vito Bardi, a sua volta finito tra gli indagati a Napoli per corruzione.
Nell’afosa mattinata, Milanese sta chino a leggere gli atti dell’inchiesta. È atteso in una saletta riservata dei colloqui dal suo avvocato Bruno Larosa. Lui intanto ragiona: «Io ho sempre collaborato con la magistratura, quella di Napoli, di Roma e di Milano. Sono sempre stato a disposizione sia nella vicenda P4, sia sulla vicenda della casa abitata da Tremonti a via Campo Marzio. Ho sempre risposto, non mi sono mai tirato indietro di fronte ai pubblici ministeri, e questo non corrisponde alla pericolosità che mi attribuiscono. Ecco perché non comprendo la detenzione. Facciamo i processi. Poi saranno i giudici a dire se sono colpevole ».
fabio massimo mendella colonnello guardia finanza
Intorno, verde e silenzio. Una struttura, «magari vetusta, ma pulitissima, ordinata, ben guidata e organizzata, dove si sente un’attenzione che non è di tutti i penitenziari», dicono Falanga e Marino. Appena 60 detenuti su una capienza di 206, offre un’altra idea di carcere rispetto alle scene di sovraffollamento, e talvolta di degrado, legata alle vicende degli altri penitenziari “civili” d’Italia. «Abbiamo visto persino lo scotch, il nastro per imballaggio messo lungo tutte le porte per cancellare quel rumore metallico di celle che si aprono e chiudono».
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