DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Stefano Montefiori per “il Corriere della Sera”
Il premier socialista Manuel Valls lo detesta e lo cita più volte come minaccia alla convivenza civile ma questo non fa che accrescere la fascinazione di tanti francesi per Éric Zemmour, 56enne editorialista del Figaro, ubiquo polemista radiotelevisivo e autore di « Le suicide français » (Albin Michel), un saggio di 500 pagine sui «quarant’anni che hanno distrutto la Francia».
Contro l’eredità del maggio 68, il femminismo, l’immigrazione, l’Europa e le nozze gay, Zemmour ha scritto un libro pieno di rimpianto per l’epoca d’oro (secondo lui) in cui gli uomini sapevano imporre la loro autorità di padri e mariti e la Francia non era «invasa dai musulmani salafisti». Soprattutto, «Il suicidio francese» è da due settimane primo in classifica, si avvia a raggiungere il mezzo milione di copie vendute e a battere il record del bestseller anti-Hollande di Valérie Trierweiler.
Che cosa ci dice, della società francese, un successo simile? Se lo aspettava?
«Da un punto di vista personale è un’immensa soddisfazione, ovviamente. Per la struttura mi sono ispirato al libro di un italiano, Patria 1978-2008 di Enrico Deaglio: non l’ho letto, ma ho preso da lì l’idea di mescolare la cultura popolare e il saggio politico. Mi aspettavo di creare dibattito, ma non di vendere così tanto. Questo successo è un plebiscito politico, ideologico. La gente mi ferma per strada e mi dice che finalmente qualcuno esprime la loro sofferenza. Il popolo francese non si rassegna a vedere la Francia morire sotto i suoi occhi».
Il suo libro è una specie di manifesto reazionario e populista.
«Ma io lo rivendico, il populismo. Apparentemente la facciata resiste, Parigi è sempre bella e le ragazze fanno ancora girare la testa, ma sotto la superficie tutto è marcio. Il populismo è il rifiuto di rinunciare alla nostra maniera di vivere».
E chi sarebbe responsabile di questo attentato alla vecchia Francia?
«Le Monde ha scritto che il mio è un libro complottista. Ma io non denuncio un complotto, critico un’evoluzione della società imposta dalle élite francesi. Negli ultimi quarant’anni queste élite hanno agito secondo le tre D: derisione, decostruzione, distruzione della Francia, in nome dei grandi ideali, ovvero l’Europa, l’apertura al mondo, il progresso».
La modernità, la globalizzazione, l’immigrazione, riguardano tutti, non solo i francesi.
«È vero, ma solo in Francia c’è un simile odio di sé veicolato dalle élite. Non fanno che ripeterci che non siamo abbastanza tedeschi, o americani, o svedesi. Tutti i modelli sono buoni, tranne il nostro. Poi, in Italia non c’è Stato forte, la società è abituata a difendersi. Noi ci sentiamo traditi dallo Stato. Siamo il Paese con la prima comunità musulmana d’Europa».
Ma le élite che lei denuncia difendono la laicità, per esempio. La Francia è uno dei pochi Paesi dove il burqa, e pure il velo nelle scuole, sono vietati.
«Ma sono residui, insufficienti, di un sistema ormai finito. Il modello francese era l’assimilazione, ossia “tutti possono essere francesi se fanno lo sforzo di essere francesi”. I miei antenati erano berberi di religione ebraica, non erano certo i galli, ma io oggi dico che i miei antenati sono i galli. Tutto questo non esiste più. I musulmani hanno un loro codice civile, è il Corano. Vivono tra di loro, nelle periferie. I francesi sono stati costretti ad andarsene».
Lei allora che cosa suggerisce? Deportare cinque milioni di musulmani francesi?
«Lo so, è irrealista, ma la storia è sorprendente. Chi avrebbe detto nel 1940 che un milione di pieds-noirs , vent’anni dopo, avrebbero lasciato l’Algeria per rientrare in Francia? O che dopo la guerra 5 o 6 milioni di tedeschi avrebbero lasciato l’Europa centro-orientale dove vivevano da secoli?».
Parla di esodi provocati da tragedie immense.
«Io penso che stiamo andando verso il caos. Questa situazione di popolo nel popolo, di musulmani dentro i francesi, ci porterà al caos e alla guerra civile. Milioni di persone vivono qui, in Francia, e non vogliono vivere alla francese».
Ma che significa vivere alla francese?
«Significa dare ai figli nomi francesi, essere monogami, vestirsi alla francese, mangiare alla francese, formaggio per esempio. Scherzare nei caffé, fare la corte alle ragazze. Amare la storia di Francia, sentirsi i depositari di questa storia e volerla continuare, sto citando Ernest Renan».
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Se la prende con una supposta ideologia cosmopolita e totalitaria ma lei, Éric Zemmour, è sempre in tv.
«Io dico le cose che la maggior parte dei francesi pensano, da cui il successo clamoroso del mio libro. Contro di me però c’è l’ideologia dominante delle élite, ormai screditate, che provano a imporre alla società quel che è corretto pensare: il mariage pour tous , il femminismo, l’Europa, la globalizzazione, l’immigrazione vista come una ricchezza. Ma il popolo non la pensa così».
Lei punta a fare l’ideologo del Front National?
«No, su certi temi siamo lontani, il Front National per esempio non si è schierato abbastanza contro il matrimonio degli omosessuali, e da un punto di vista sociale ormai è troppo a sinistra. Ma io non mi pongo sul terreno dei partiti, la mia dimensione è quella delle idee. Conduco una guerra culturale, come direbbe Gramsci».
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