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    POMPEI CROLLA E I POLITICI SI DIVIDONO I COCCI: DUE “SUPERPOLTRONE” DA OCCUPARE, UNA A DESTRA E UNA A SINISTRA…


     
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    Gian Antonio Stella per il "Corriere della Sera"

    Tre anni sono passati, dal crollo della Scuola dei gladiatori di Pompei che finì su tutte le prime pagine del mondo. E le rovine sono ancora lì, abbandonate, sotto il cellophane. Mentre infuria, sommando ritardi a ritardi, un altro combattimento. Tutto politico: chi gestirà i 105 milioni del megaprogetto per risanare il malandato tesoro archeologico campano? Certo, gli sfidanti di oggi non usano gladi, reti, lance, tridenti o pugnali. Le loro armi sono più silenziose. Non aprono squarci e non fanno buttar sangue, se non metaforicamente. Ma lo scontro è durissimo.

    Pompei NecropoliPompei Necropoli

    Da una parte il ministro dei Beni culturali Massimo Bray e dall'altra chi vorrebbe «amabilmente suggerirgli» (guai a usare il verbo imporre) questo o quel candidato. Magari del tutto estraneo al mondo della cultura e più ancora dell'archeologia.

    Fosse una poltrona come un'altra, chi se ne importa. Al di là dei nomi, sono talmente tanti gli uomini sbagliati nel posto sbagliato piazzati in questi anni dai partiti che uno più o uno meno... Il punto è che Pompei è qualcosa di speciale. Tanto da fare scrivere a Michael Day sull'Independent , davanti alle macerie della «Schola Armaturarum», le seguenti parole: «I crolli nel sito di Pompei sottolineano ciò che gli esperti hanno segnalato per anni: l'inestimabile patrimonio culturale italiano si sta lentamente ma ineluttabilmente disintegrando, e il declino del famoso sito archeologico è una metafora della nazione».

    Necropoli PompeiNecropoli Pompei

    Concetto identico sul New York Times : «I crolli a Pompei sono diventati una metafora dell'instabilità politica e dell'incapacità dell'Italia di prendersi cura del suo patrimonio culturale» . E ancora su Le Monde : «Pompei crolla, simbolo di un'Italia in stato di catastrofe culturale».

    Insomma, se c'è un luogo in cui l'Italia si gioca ciò che le resta di una reputazione internazionale ammaccata, è Pompei. Perché reportage come quello di Carolyn Lyons del Financial Times sono una coltellata al cuore per ogni italiano: «Sono rimasta esterrefatta. Le strutture cadevano a pezzi, i soffitti perdevano e le pareti erano irrimediabilmente danneggiate...».

    La stessa «amorevole» interferenza da parte dei tedeschi del Fraunhofer (il maggiore centro di ricerca tecnica d'Europa: un colosso con 22 mila dipendenti) e della Technische Universität di Monaco di Baviera, decisi a irrompere tra gli scavi con 10 milioni di euro e centinaia di ricercatori conferma la gravità della situazione e la diffidenza straniera verso chi se ne occupa. Perché mai, altrimenti, dovrebbero sventolare l'obiettivo di «sottrarre Pompei alla seconda rovina»?

    SCOGNAMIGLIOSCOGNAMIGLIO

    Diciamocelo: troppo spesso non abbiamo fiato per rispondere a certe critiche fastidiosissime davanti all'immobilità, all'insipienza, alla sciatteria con cui «non» ci prendiamo cura delle meravigliose rovine vesuviane che incantarono Wolfgang Goethe. Basti ricordare che perfino il mosaico col molosso davanti alla Domus del Poeta Tragico, uno dei più celebri del pianeta, è in condizioni così penose, senza uno straccio di manutenzione quotidiana, che non si legge neppure più la scritta «Cave canem».

    SANDRO BONDISANDRO BONDI

    Come possiamo, oggi, non essere in ansia? Il direttore degli scavi archeologici Antonio Varone, il 3 ottobre 2010, giurava all'Ansa : «Il degrado del quale sia parla è quanto di più lontano dalla realtà attuale di Pompei» grazie soprattutto «alla messa in sicurezza di gran parte dei suoi tesori alla quale è stata destinata, grazie al commissariamento, il 90% dei finanziamenti».

    Trentatré giorni dopo, la scuola dei gladiatori veniva giù «per colpa della troppa pioggia» che per i periti aveva gonfiato il terrapieno che sovrasta la meravigliosa via dell'Abbondanza facendolo smontare. Terrapieno che, denuncia il presidente dell'Osservatorio Beni Culturali Antonio Irlando, «è rimasto esattamente come allora». Esposto, Dio non voglia, a nuove frane.

    Conosciamo l'obiezione: purtroppo i giudici per l'inchiesta hanno sequestrato la «Schola Armaturarum» rallentando ogni intervento. Tesi che il procuratore di Torre Annunziata Alessandro Pennasilico respinge: «Ogni volta che la sovrintendenza ci ha chiesto di intervenire abbiamo dato il via libera».

    Bray con zainettoBray con zainetto

    È in questo contesto che tre mesi fa il governo Letta, per uscire dall'immobilismo dopo troppi pensamenti e ripensamenti, varò il decreto «Valore Cultura». Dove veniva spiegata la costituzione di una Sovrintendenza specifica per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia.

    Di più: «al fine di accelerare la realizzazione del Grande Progetto Pompei», il decreto prevedeva «la nomina di un direttore generale di progetto, cui spetterà, fra l'altro, definire e approvare i progetti degli interventi di messa in sicurezza, restauro e valorizzazione, assicurare l'efficace e tempestivo svolgimento delle procedure di gara per l'affidamento dei lavori e l'appalto dei servizi e delle forniture, nonché seguire la fase di attuazione ed esecuzione dei relativi contratti».

    POMPEI PROIBITAPOMPEI PROIBITA

    Una specie di commissario. Ma chiamato in maniera diversa dopo le polemiche sulla gestione dell'ultimo plenipotenziario, Marcello Fiori, accusato tra l'altro di avere speso 218 euro (il doppio della monumentale edizione extralusso dei disegni di Fellini) per ogni copia del «piano degli interventi e relazione sulle iniziative adottate dal commissario delegato», 55.000 per mille bottiglie di vino etichettate «Villa dei Misteri», 102.963 euro per censire 55 cani randagi...

    A farla corta: va scelto il meglio del meglio, stavolta, per quel ruolo vitale per la nostra reputazione. Ed è lì che divampa la guerra sotterranea. Intorno al nome, soprattutto, di Giuseppe Scognamiglio, un diplomatico distaccato da anni a Unicredit che dalle parti di Pompei nessuno ricorda.

    Magari è un fenomeno, dicono i perplessi, ma dopo i disastri di questi anni è il caso di mettere lì un altro paracadutato dall'alto? Piuttosto me ne vado io, avrebbe minacciato Massimo Bray ricevendo la comprensione dello stesso Letta. Non bastasse, una certa politica avrebbe imposto l'aggiunta, per gestire quei soldi dell'intervento straordinario, di un direttore generale vicario. Uno alla destra, uno alla sinistra. Pari e patta. E mentre si avvicinano l'inverno, le piogge, il fango, le minacce di nuovi crolli stanno lì a litigare sui nomi coi soldi fermi e i cantieri da aprire...

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