Estratto dell’articolo di Giacomo Amadori per “La Verità”
donatella di rosa lady golpe
Quello degli investigatori antimafia e antiterrorismo deve essere un mondo un po’ particolare. Se la Procura di Perugia ha scoperto che il tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano aveva velleità da cronista, tanto da preparare insieme con i giornalisti del Domani, attraverso su banche dati coperte da segreto, inchieste finite poi sulle pagine del quotidiano, il colonnello M.G., ufficiale dei carabinieri, è stato, invece, recentemente denunciato per aver inviato, non richiesto, video molto particolari a una testimone eccellente delle sue inchieste, filmati che in queste ore dovrebbero essere consegnati al pm di Roma Pantaleo Polifemo.
aldo michittu
La denunciante, assistita dall’avvocato Arturo Ceccherini, è Donatella Di Rosa, 65 anni, originaria di Bergamo, nota alle cronache come Lady Golpe. Negli anni Novanta denunciò insieme al compagno, un tenente colonnello dell’Esercito, Aldo Micchittu, un inesistente colpo di Stato. Il militare patteggiò un anno e quattro mesi. Lei, invece, non accettò di chiudere la partita e prese in primo grado otto anni di condanna dimezzati poi dall’indulto.
Le accuse inizialmente erano di eversione, presunta estorsione e calunnia. Alla fine rimane solo quest’ultima. Dopo un periodo fuori dall’Italia, nel 2015 inizia a scontare la pena. Prima in prigione e poi ai domiciliari. Per motivi di salute ottiene anche periodi di sospensione degli arresti. Mentre si trova in queste condizioni viene avvicinata dal colonnello, che da tempo è diventato consulente nella nuova inchiesta sulla bomba di Piazza della Loggia. La Di Rosa è chiamata a testimoniare sui rapporti tra l’ex marito e i responsabili della strage.
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G. è un militare controverso. Ci sono pm che apprezzano i suoi metodi e altri che li detestano. Un gip milanese parlò di «atipiche relazioni di servizio, prive di valore processuale», in cui si citavano «persino gli stati d'animo di qualche interlocutore». Ma […] all’ufficiale non mancano i fan tra le toghe, in particolare tra quelle in servizio nelle Direzioni distrettuali antimafia o nelle commissioni parlamentari, da quella sul delitto di Aldo Moro a quella Antimafia, dove il Movimento 5 stelle ha dimostrato di apprezzare il suo lavoro.
PIAZZA DELLA LOGGIA
In questa legislatura lo ha proposto alla presidente Chiara Colosimo come consulente sul tema delle stragi del 1992-1993. La richiesta non è stata accolta, anche se l’investigatore è molto stimato dal senatore grillino Roberto Scarpinato […]. L’ufficiale, uno dei massimi esperti in circolazione sul «terrorismo di estrema destra», è stato coinvolto come consulente nelle indagini sulle stragi della stazione Bologna e di Piazza della Loggia a Brescia, oltre che nelle investigazioni sulla presunta Trattativa Stato-mafia. Uno dei suoi pallini è il generale Mario Mori, che non deve stimare molto. Nel 2023 è stato chiamato a tenere un «briefing» ai magistrati delle Direzione nazionale antimafia.
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La denuncia contro di lui è stata presentata lo scorso 9 febbraio e quasi subito, a quanto risulta alla Verità, ha portato all’apertura di un fascicolo giudiziario affidato al pm Pantaleo Polifemo, specializzato in reati a sfondo sessuale. La donna racconta di essere stata contattata, a fine novembre 2022, da G., «il quale rappresentava la necessità di sentirmi quale persona informata sui fatti su delega del magistrato di Brescia con riferimento ai fatti della strage di Piazza della Loggia».
La Di Rosa accetta e ai carabinieri spiega: «Durante la prima escussione credo sia difficile immaginare l’emozione e la rabbia che ho provato, sentendomi dire dal colonnello G. che a una rivisitazione dei miei vecchi atti processuali era apparso chiaro che la mia condanna fosse assolutamente pretestuosa e che nonostante la mia palese innocenza tale atteggiamento giudiziario fosse servito a coprire soggetti intoccabili».
ROBERTO SCARPINATO
La testimone si emoziona e il colonnello, subito dopo il primo incontro, avrebbe manifestato un «comportamento particolarmente affettuoso e premuroso»: «Mi inviò messaggi con emoticon di cuoricini e bacini che mi creavano disagio» assicura l’ex Lady Golpe. Seguì un secondo interrogatorio in cui le fu chiesto «ancora sia del generale Mori che di Paolo Bellini (condannato all’ergastolo per la strage di Bologna, ndr)».
L’ufficiale mostrava alla signora vecchie foto dei due per provare a farli riconoscere alla Di Rosa. «Il generale Mori era continuamente presente negli interrogatori (nel senso citato, ndr)», anche se sull’ex comandante del Ros la Di Rosa non avrebbe rilasciato nessuna dichiarazione.
donatella di rosa oggi
G. disse che Micchittu aveva ammesso di aver trasportato armi e un latitante ai tempi della strage e di «aver mentito all’epoca della vicenda giudiziaria», che coinvolgeva la donna, «per ottenere il patteggiamento». Dichiarazioni che, a dire dell’investigatore, avrebbero trovato riscontri. La Di Rosa sostiene di essersi aggrappata a queste parole e di essersi per questo affidata all’ufficiale.
«Credo che sia difficile immaginare la fiducia e la riconoscenza che provavo per lui dopo 30 anni di sofferenze, di un ingiusto marchio di calunniatrice buttatomi addosso». La promessa era che il suo «nome sarebbe stato riabilitato e che la verità sarebbe emersa». Dopo il terzo interrogatorio, però, la Di Rosa si ferma.
PAOLO BELLINI STRAGE BOLOGNA
Un po’ per il peggioramento delle condizioni di salute, un po’ per l’inasprimento dei controlli notturni nella sua abitazione durante la detenzione domiciliare. G. avrebbe continuato a cercarla, ma lei, per un po’, si sarebbe negata. «Ero perplessa per le attenzioni che mi riservava, per quel continuo morboso chiedermi del mio rapporto personale con il generale Franco Monticone (ex amante della signora, ndr)».
Quando le condizioni di vita della Di Rosa precipitano, anche a causa di uno sfratto e del taglio delle utenze, lei e il colonnello si sarebbero riavvicinati. La donna riprende a sperare nella tanto agognata «riabilitazione». Il racconto prosegue: «Insisteva perché ricominciassi a deporre, dicendomi e scrivendomi spesso che, a seguito della mia “reticenza”, proprio per il bene che mi voleva, mi aveva evitato parecchie perquisizioni». Però in quel periodo «il tono e la tipologia dei messaggi cambiarono e non di poco»: «Da cuoricini e bacini passò a rappresentarmi i suoi gusti sessuali spesso corredati da foto e video disgustosamente espliciti».
La presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo
In un filmato, visionato dal nostro giornale, si vedono sullo sfondo, la parte di quello che sembra un ufficio, la foto del presidente Sergio Mattarella e i faldoni con dentro atti d’indagine. Su quello che succede dopo è meglio stendere un pietoso velo. «Perché ho accettato?», è la domanda che la Di Rosa anticipa con gli uomini dell’Arma, sapendo che le verrà fatta.
Risposta: «Perché dopo 30 anni di fango, di umiliazioni, di ingiustizia, di carcere, domiciliari e malattia, il miraggio della riabilitazione farebbe accettare qualsiasi cosa». Ma sembra, non proprio tutto. Infatti la Di Rosa racconta che l’unica volta che lo ha invitato a cena era presente anche il figlio cinquantenne della donna e la serata si svolse «in un clima sereno».
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[…] Ma i messaggi continuarono «sempre più espliciti» e «iniziarono anche le richieste di incontri presso l’abitazione dell’uomo»: «Mi invitò una prima volta a casa sua […] dove aveva preparato una cena araba e dove, se permettevo, appena arrivati si sarebbe messo completamente nudo». La Di Rosa rifiutò questo invito e anche una seconda proposta di «cenetta sul Lungotevere» e una terza di weekend in una località che «doveva essere una sorpresa». Il presunto corteggiatore le avrebbe persino confidato la sua passione per i viados.
La donna era incredula: «Continuavo a essere una possibile teste, importantissima, determinante, come continuava a ripetermi, e nonostante tutto il mio desiderio di avere giustizia, non riuscivo a comprendere come colui che doveva interrogarmi e mi parlava di morti, di stragi e del mio dovere di far emergere la giustizia, mi potesse inviare foto, video e vocali che avrebbero fatto arrossire una prostituta e a cui io non potevo, non volevo ribellarmi. Lui aveva la mia vita in mano, questa era la mia sensazione sempre».
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[…] Quando la donna si trova in difficoltà economiche e in precarie condizioni di salute, G. le avrebbe scritto che gli unici che potevano proteggerla e «far finire questa ingiusta persecuzione» erano i «magistrati della commissione Antimafia a cui lui», se la Di Rosa avesse accettato di parlare, avrebbe chiesto di metterla «sotto protezione». A patto che chiedesse che fosse lui a interrogarla.
La Di Rosa, nella denuncia, ricostruisce lo stato d’animo di quei giorni, lo spaesamento: «Avevo paura di diventare una collaboratrice, tenendo conto che una parte delle cose che avrei “dovuto” dire non mi appartenevano». G. le avrebbe proposto di rilasciare un’intervista a un inviato di Report, sostenendo che questo avrebbe «costretto i magistrati ad ascoltarla». Alla fine la donna, dopo alcuni abboccamenti, avrebbe deciso di non andare in tv.
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donatella di rosa
Il rapporto con il colonnello prosegue: «Mi scrisse che aveva parlato con l’onorevole Scarpinato, che c’era l’onorevole Colosimo che gli era sfavorevole per questioni di antipatia, che il governo (Meloni, ndr) bloccava i lavori dell’antimafia…». La donna sostiene di aver scritto al pm Nino Di Matteo, a Giovanni Melillo, capo della Direzione nazionale antimafia, alla Colosimo. Senza ottenere risposta. Anche se con noi la presidente della commissione ha negato di avere visto tale mail.
A questo punto il figlio di Lady Golpe, un giorno, mentre la donna è in ospedale ricoverata, prende in mano il cellulare della madre e vede i messaggi di G.. Chiede conto dell’invio di «quelle cose» a entrambi. Il colonnello avrebbe risposto che si trattava di un «fatto privato» tra lui e lei e che la «salvezza» della donna dipendeva dalla «messa in stato di protezione» e che, per questo, aveva inviato diverse informative a Melillo e Di Matteo.
giovanni melillo
Un giorno G. avrebbe chiesto di vedere la Di Rosa «per prepararla a ciò che doveva dire quando fosse stata convocata davanti ai magistrati». […] La donna conclude: «Scopro che quanto aveva detto a me di dire, una teste lo sta dicendo in un processo (quello di Piazza della Loggia). Io decido di denunciare. Stavolta non accetto che venga protetto chi considero indegno del ruolo, dei riconoscimenti che ha avuto».
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paolo bellini 1 paolo bellini
La Di Rosa vuole che il suo presunto stalker sia perseguito penalmente e disciplinarmente: «Chiedo che si indaghi sulla concreta possibilità che il comportamento del colonnello, atto a dare corpo a sue personali convinzioni, non sia reiterato e che non abbia dato adito a testimonianze indotte e lesive della giustizia, quella vera, a cui ognuno ha diritto». Dopo l’inchiesta di Perugia sul tenente dell’Antimafia, un’altra bomba negli ingranaggi di un Sistema che sembra fare acqua da tutte le parti.