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    “POVERO WAGNER, A BERLINO NON GLI SI PERDONA NESSUN PECCATO” – MATTIOLI: "NELLA GRANDE MOSTRA ALLESTITA NELLA CAPITALE TEDESCA C’E’ TUTTO. LA SUA ATTIVITA’ DA BANCAROTTIERE, LE FATTURE NON ONORATE DELL’ARCHITETTO E DEL VINAIO, LA PASSIONE PER LE SETE E I VELLUTI PIU’ FINI (C’È ANCHE UNA VEZZOSA PANTOFOLINA RICAMATA) E ANCHE LE PROVE SCRITTE NERO SU BIANCO DEL SUO ANTISEMITISMO. L’ESPOSIZIONE È L’ENNESIMA CONFERMA CHE..."


     
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    Alberto Mattioli per il Foglio

     

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    Povero Richard. In questa grande mostra “Richard Wagner und das deutsche Gefühl”, fino a domenica al Deutsches Historisches Museum di Berlino, nessuno dei suoi peccati, nemmeno quelli veniali, gli viene perdonato. E fin dalla prima didascalia, quando fra le molteplici attività del Nostro viene indicata anche quella di “bancarottiere”, che in effetti è una descrizione abbastanza accurata delle sue abitudini finanziarie, almeno fino all’entrata in scena del povero Luigi II (c’è naturalmente anche la lettera con la quale il re ordina di pagare a Herr Wagner la famigerata pensione di quattromila fiorini annui, lo stipendio di un ministro. La burocrazia bavarese non gradì e una volta versò a Cosima la somma tutta in monetine: lei dovette salire con i suoi sacchi di spiccioli su una vettura di piazza).

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    La vezzosa pantofolina ricamata di Richard è l’emblema della sua passione per le sete e i velluti più fini, altrimenti gli si irritava la pelle, anche con campioni di colore spediti dai sarti fra cui prevalgono il rosa e il rosso, il magenta e il mauve: altro che Timothée Chalamet a Venezia. E poi fatture non onorate dell’architetto e del vinaio, cui sfacciatamente promette di pagare ordinandogli un’altra cantina, e nel 1879 una comanda di tre litri (tre!) di acqua di Colonia, e chiedendo pure lo sconto. C’è il suo “chapeau-claque” e il celebre berretto grigio “alla Dürer”, che ha un significato politico perché lo portavano i volontari nella guerra di Liberazione del 1813, mentre gli esemplari di corpetto e crinolina vengono criticati, ovviamente, in quanto “sessisti”.

     

     

     

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    Naturalmente, grande risalto alla questione dell’antisemitismo, con tutte le varie edizione dell’ignobile pamphlet Il giudaismo nella musica. Incredibile il disegno di Gottfried Semper per una lampada da sinagoga; a Cosima piace moltissimo e la vorrebbe in casa, ma non vuole che si sappia. Allora incarica Nietzsche di chiederlo a Semper, e voilà il disegno negli archivi di Bayreuth.

     

    Agghiacciante, però, la pagina del diario in cui la Nasuta scrive che Richard vuole “la completa espulsione degli ebrei” dal territorio del secondo Reich. Il cancelliere del Terzo fa la sua prima visita a Bayreuth da capo del governo venerdì 21 giugno 1933 per i Meistersinger: da locandina, si scopre che gli toccarono un Walther assai gay, il tenore Max Lorenz, e addirittura un Pogner ebreo, il basso Alexander Kipnis. Nel ’40, il Führer spunta a una finestra del Festspielhaus, acclamato dopo la vittoria in Francia, mentre il Fronte dei lavoratori organizza matinée gratuite per reduci e feriti.

     

     

     

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    Niente sconti, insomma, né per Richard né per i suoi successori, in uno sforzo di obiettività che diventa quasi presa di distanza, in nome di un politicamente corretto retroattivo e forsennato. Ma naturalmente non mancano le delizie. Ecco Wilhelmine Schröder-Devrient, la Callas dell’epoca, che nel ’49 arringa da una finestra gli insorti di Dresda, fra i quali Wagner e Bakunin. Ecco il passaporto svizzero che finalmente svela la vera statura di Richard: un metro, 66 centimetri e mezzo. Ecco il Cola di Rienzi di Engels, il cantopiano dell’Holländer con le annotazioni autografe dell’autore, il diploma di patrono del primo Festival del sultano ottomano Abdülaziz, purtroppo impossibilitato a partecipare in quanto vittima di un attentato.

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    A proposito: le sedie originali della Festspielhaus avevano la seduta (volutamente scomoda, così si sta attenti) in paglia di Vienna, non nell’attuale orrido vellutino beige. E poi: bozzetti, figurini, ritratti, lettere, libri, figurine Liebig, attrezzeria varia e uno stilosissimo portaocchiali del solito Ludwig, in avorio con una scena della Götterdämmerung.

     

    Dopo la pubblicazione, perfino in Italia, di Wagnerismi (Bompiani), 1.173 pagine dove il critico del New Yorker, Alex Ross, fa il catalogo di tutti quelli che RW ha influenzato, ispirato, provocato e sconvolto, questa mostra è l’ennesima conferma che Wagner resta uno dei grandi inventori della modernità, lo si ami o lo si odi (restare indifferenti, come si sa, è impossibile).

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