Carlo Pizzati per “la Stampa”
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Appena rientrati al loro paesino nel Bengala, i sette emigrati sono stati bloccati dalle autorità sanitarie. Andare a vivere con la famiglia nelle catapecchie di dieci metri quadrati? Neanche per sogno. Quarantena e distanza sociale, come nel resto del mondo. Operai come questi, che vivono alla giornata, è già tanto siano riusciti a pagarsi un biglietto da Chennai fino a casa.
Qualcuno si è ricordato dei due alberi di mango e del grande banyan che reggono pedane avvista-elefanti. E i sette sono finiti in quarantena tra i rami, come il Barone Rampante. Mogli e madri arrivano tre volte al giorno per lasciare viveri ai piedi dei tronchi. Si attende. E questa è solo una delle tante vicende dei 120 milioni di migranti indiani nell' Era della Pandemia.
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Il problema inizia alle ore 20 del 24 marzo, quando il premier Narendra Modi annuncia che a mezzanotte inizia la chiusura totale. Panico.
Restare in città senza lavoro, rischiando la fame, o partire nonostante il blocco? Assalto alle stazioni degli autobus.
Poi si fugge in calessi trainati dalle bici, o a piedi. Centinaia di migliaia di persone vanno verso Rajasthan, Uttar Pradesh, Jharkhand, dove un piatto di riso lo si trova dalla mamma, dai figli, dai parenti. Urbanizzazione al contrario.
INDIA - POLIZIOTTO CON IL CASCO A FORMA DI CORONAVIRUS
Sì, lo sanno che così portano il virus a chi amano di più, disseminandolo nelle campagne. Ma c' è un terrore più immediato: la fame. «Abbiamo più paura di morire di fame che di coronavirus», dicono.
Così la chiusura totale, contro un virus che in India ha registrato 2069 contagi ufficiali e 53 decessi, si trasforma in crisi umanitaria. I migranti marciano per centinaia di chilometri verso casa, ai bordi delle autostrade, in scene viste solo nel 1947, nella partizione tra Pakistan e India. Qualcuno muore d' infarto per la stanchezza, chi addirittura sulla soglia di casa, chi invece viene falciato dai camion nel buio delle strade scalcinate d' India.
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Anche chi è rimasto nelle metropoli rischia grosso. Molti migranti sopravvivono da tre giorni ad acqua e sale. Fanno collette, ma non bastano.
Sono terrorizzati dalla polizia che li malmena se li sorprende per strada, anche se vanno ai centri di distribuzione di cibo, spesso a più di 10 chilometri a piedi. Affamati, restano nei cantieri in attesa del 15 aprile, stretti stretti, senza mascherine e senza speranze. Modi chiede scusa per aver causato tanto sconforto: «Ma è indispensabile».
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Non va meglio nelle bidonville delle megalopoli come Mumbai. Il 30% degli indiani vive nei bassifondi, ma nella capitale del Maharastra si sale al 62 per cento. Distanza sociale? Qui ci sono più di cinque milioni di persone che vivono in catapecchie di dieci metri quadrati, fino a otto per stanza. A Worli Koliwada, 35 mila abitanti, appena scoperti sei casi di contagio sono scattati i sigilli. Alcuni si asserragliano con barricate e vigilantes alle entrate dei vicoli.
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Non ci sono bagni privati, ma una cloaca comune. L' acqua viene erogata per due ore, al mattino. Lavarsi le mani? In India, secondo il censo 2016, solo il 63% della popolazione le lava dopo essere andati al bagno in un paese dove la carta igienica è un lusso. Il 40% non ha sapone né acqua, l' 80% delle famiglie povere non ha lavabi né acqua per le mani.
Per fortuna i medici indiani sono bravi, nonostante lavorino in ospedali pubblici tra i peggiori al mondo, pericolanti per i pochi finanziamenti. Il 22 marzo Modi aveva invitato la nazione a battere le mani nei balconi per dimostrare la solidarietà a dottori e infermieri.
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Ma da quando c' è la chiusura, il personale viene preso a sassate e bastonate, e pure sfrattati perché "portatori di contagio". Nel mirino della polizia finiscono anche i giornalisti, picchiati e arrestati, come denuncia Pen international, perché narrano le realtà dei più sfortunati (uno degli articoli incriminati documenta come i Dalit, o intoccabili, siano costretti a sfamarsi mangiando erba).
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I segnali di un caos crescente in India, dove i casi reali sono probabilmente più di quelli ufficiali. E dove ci si attende un' ondata di morte come non si è ancora vista in un grande Paese che del suo saper convivere con la morte ha fatto una bandiera.
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