Maria Giovanna Maglie per Dagospia
donald trump
C'è un cretino che corre per la Casa Bianca grazie a un colpo di fortuna, e proprio non ci arriva a capire come ci si deve comportare da candidato nominato, oppure i cretini sono gli altri, abbarbicati ai loro compromessi quotidiani, incapaci di capire e di imitare un metodo e un linguaggio dirompenti, in grado di portare un partito stanco e logorato alla vittoria?
Ieri il vincitore, a primarie terminate, ha tenuto un discorso pacato, letto sul teleprompeter, il gobbo, promettendo di rendere il partito orgoglioso di lui, per il sollievo di Reince Priebus, il capo del comitato elettorale, che si è affrettato a definirlo un grande discorso di investitura.
donald trump
Ma tanto non dura. La lotta tra Donald Trump e gli esponenti del suo partito sempre questa è stata, e non è finita solo perché vertice e comitato elettorale del Gop hanno dovuto arrendersi alla forza dei voti. Il gruppo dirigente repubblicano infatti aveva sperato di riportare Trump sulla retta via, nel main stream del politically correct, ma non è così, e se un giorno, perché sottoposto a fuoco di pressione, lui abbassa i toni di una polemica, il giorno seguente va in tv e attacca più forte.
La convention sarà l'occasione finale di irregimentarlo, ma è una speranza vana. Non sarà solo una battaglia di toni, ma di contenuti. Trump continua a fare Trump, non solo e non tanto perché ha il carattere terribile gli contestano, e l'ego smisurato che gli si scopre con facilità, ma anche perché è convinto di poter colmare lo svantaggio di voti con la Clinton solo continuando a fare l'arrabbiato e il provocatore.
SEAN HANNITY INTERVISTA DONALD TRUMP
E' politica, bellezza, sono calcoli fatti da qualcuno ben preparato, in undici Stati nei quali si gioca la partita,in una nazione profondamente cambiata, nella quale i bianchi non sono più maggioranza e hanno paura, le classi lavoratrici non vogliono più delegare perché si sentono fregate, e devono continuare a sentirsi rappresentati in modo nuovo, a credere nelle promesse di uno che con i venduti di Washington non ha niente da spartire, uno che miliardario ci è diventato con l'impresa, non con la politica, per andare a votare il primo martedì di novembre. Rischiosi, ma calcoli.
donald trump mangia tacos per il cinco de mayo
Perciò la storia degli attacchi al giudice Curiel è emblematica dello scontro tra il Trump che vorrebbero e quello che continuerà a rappresentarsi, e naturalmente tra gli interessi particolari, o locali, dei vari deputati e senatori, e quello dell'imprenditore che volle farsi presidente.
I due progetti in effetti potrebbero scontrarsi clamorosamente. Se devi essere rieletto in Baja California e sei repubblicano, gli ispanici te li allisci, ci mancherebbe, e Trump ti rompe le scatole; in più ti senti impotente perché quello ha vinto la nomination a furor di popolo e già ti ha sconfitto una volta. Un disastro.
david letterman john mccain 2008
Gonzalo Curiel è il giudice in una causa contro la Trump University; è di origine ispanica; Trump afferma e continua ad affermare che la causa è priva di fondamento e che Curiel dovrebbe ricusare sé stesso perché ha un evidente conflitto di interessi, insomma ce l'ha con lui perché tra i punti principali del suo programma compare la costruzione di un muro di confine con il Messico onde impedire l'afflusso costante di immigrati illegali, un muro, per di più, da far pagare al Messico anche a costo di bloccare le rimesse di denaro che i lavoratori illegali inviano ai parenti dagli Stati Uniti.
jeff flake e john mccain e il patriottismo a pagamento
Le considerazioni sul giudice per Trump sono mera logica, autodifesa a norma di Costituzione, per senatori repubblicani come Ben Sasse, Nebraska, o Jeff Flake, Arizona, rappresentano “la definizione letterale del razzismo”, quindi ritirano l'endorsement. Un cinico veterano come John Mc Cain li manda tutti a quel paese, “tutto quello che potevo dire di Trump l'ho detto,adesso basta, mi devo occupare della mia campagna”.
Poi ci sono quelli che fanno sottili e ridicoli distinguo, del tipo “lo voto ma non lo appoggio”, secondo la scuola di Paul Ryan, House speaker,oppure si chiudono in un silenzio glaciale, come il senatore John Comyn del Texas, che è il capogruppo al Senato e di solito parla volentieri con i giornalisti, ma ora ha messo il veto sull'argomento. “Io non parlo di Donald Trump, chiedetemi qualsiasi altra cosa o andatevene”.
donald trump
Non si capisce se sia più la stampa ossessionata dal newyorchese o gli esponenti del Gop. Certo, per loro è devastante l'idea che quando il candidato che nessuno voleva, parla, lo fa a nome del partito, anche loro, che li mette in seria difficoltà rispetto ai loro schemi abituali di comportamento, ma anche che riesce così a distogliere l'attenzione dalle malefatte della Clinton, anche dalla storiaccia delle email private per pubblico ufficio.
Sarà vero o è solo un riflesso politically correct? All'inizio della sua campagna, proprio questo Trump denunciava, che tra i due partiti, piegati alle stesse regole, non ci sia più alcuna differenza, che Capitol Hill sia una pantomima, che la stampa e le tv sono asservite a Obama e Clinton, e tanto vale attaccare. Gli elettori hanno dimostrato di pensarla come lui.
donald trump
Ha chiuso le primarie repubblicane vincendo in tutti e cinque gli Stati, erano partiti in 17, il numero più alto di candidati della storia repubblicana,con conseguente dispersione dei voti,eppure già due settimane fa era rimasto solo lui, e aveva raggiunto il numero necessario di 1237 delegati. Oggi è a 1536 e il calcolo non è finito ancora. Ha vinto quest'anno nel numero più alto di Stati, 36, contro i 30 della Clinton.
marco rubio
Ha ricevuto 13 milioni406mila108 voti, il numero più alto della storia repubblicana,il record precedente apparteneva a George W.Bush nel 2000 con 12 milioni di voti. Si è finanziato da solo le primarie spendendo del suo e solo del suo fino ad oggi, in tutto 49 milioni di dollari, contro i 227 milioni di Hillary Clinton e i 210 milioni di Sanders, che i due democratici hanno raccolto da finanziatori esterni.
Ted Cuz, per capirci, il senatore repubblicano del Texas che ha resistito fino a maggio, ha speso 150 milioni, Marco Rubio, il prescelto del Gop che non ha vinto in un solo Stato e si è ritirato il 15 marzo, ha speso quanto Trump. Il quale ha fatto, a detta anche degli avversari, una abile e martellante campagna di tweet, gratis.