Alessandro Da Rold per "la Verità"
i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro -U43070110205349sDC-593x443@Corriere-Web-Sezioni
Quello che doveva essere il più grande processo del secolo per corruzione internazionale, su una presunta tangente da 1 miliardo di dollari intorno a un giacimento petrolifero in Nigeria, viaggia ormai su un binario morto.
Se già a marzo i giudici del tribunale di Milano aveva assolto nel troncone principale di Opl245 tutti gli imputati perché «il fatto non sussiste», è di ieri la notizia della doppia assoluzione in Corte d' appello dei due presunti mediatori Obi Emeka e Gianluca Di Nardo: ai due sono stati anche restituiti 112 milioni di euro confiscati in primo grado.
claudio descalzi
Anche qui il motivo è «perché il fatto non sussiste», dettaglio importante, perché ulteriore conferma di come l' impianto accusatorio dei pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro non abbia convinto giudici né di primo né di secondo grado, anche se in procedimenti differenti. In sostanza, a meno di eccezionali stravolgimenti, la vicenda Opl245 si può dire definitivamente conclusa.
valigia di emeka obi
Dopo quasi 10 anni di indagini, dopo che Eni (controllata dallo Stato al 30% cioè anche da noi italiani) ha speso più di 100 milioni di euro in spese legali (considerando anche il processo Algeria, pure quello finito con assoluzioni), dopo anni di udienze e interrogatori, a uscire sconfitta è soprattutto la Procura di Milano.
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Tanto che a palazzo di giustizia si aspetta il bilancio di fine anno, per capire quale sia stato il totale delle spese affrontate per questa inchiesta finita in un nulla di fatto. E c' è persino chi ricorda come l' ex ministro dell' Economia Giulio Tremonti, nel 2003, mandò proprio gli ispettori a verificare i conti della Procura milanese durante la stagione dei processi a Silvio Berlusconi.
Obi e Di Nardo erano stati condannati nel settembre del 2018 con il rito abbreviato a 4 anni di carcere. Quella sentenza (di ormai 3 anni fa) fu per mesi sbandierata da sostenitori dell' accusa contro Eni e Shell, le compagnie petrolifere accusate di corruzione insieme con i loro vertici, tra cui l' amministratore delegato Claudio Descalzi.
vincenzo armanna
Ora invece proprio la sentenza di assoluzione di ieri della Corte d' appello potrebbe valere quasi come un dispositivo di Cassazione. Certo, dirlo rischia di essere un errore da matita rossa in un esame di procedura penale, anche perché non siamo in presenza di un giudicato definitivo.
Ma dal momento che fu la Procura generale stessa a chiedere l' assoluzione dei due presunti mediatori, ora non c' è nessuno che ha interesse a ricorrere in Cassazione. E appare difficile che Celestina Gravina - la pg che aveva criticato l' operato di De Pasquale e Spadaro parlando di fatti di prova «fondati sul chiacchiericcio e la maldicenza» - decida di contraddire sé stessa.
Di fondo quindi questa sentenza è l' ennesima conferma di quanto avevano già stabilito i giudici del tribunale di Milano, assolvendo Descalzi, Paolo Scaroni e gli altri. Resta la possibilità che De Pasquale e Spadaro possano fare appello contro la sentenza di primo grado. Ma nei corridoi del tribunale di giustizia meneghino è un' ipotesi che già da qualche mese viene messa in forte dubbio.
piero amara
Del resto i due magistrati risultano indagati a Brescia per rifiuto d' atti d' ufficio sul materiale probatorio del processo Eni-Nigeria. Nelle motivazioni i giudici avevano più volte evidenziato gli errori dei due procuratori, in particolare sulla scelta «incomprensibile» di non depositare il video del luglio del 2014 dove l' ex manager Eni Vincenzo Armanna e l' avvocato Piero Amara gettavano le basi per ricattare l' Eni e tentare di dare la spallata a Descalzi.
A completare il quadro delle accuse contro De Pasquale e Spadaro ci ha pensato poi il collega Paolo Storari, che indagando sul falso complotto aveva scoperto che gran parte delle prove portate da Armanna in tribunale erano false.
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Tra queste c' erano le famose chat sul cellulare con Claudio Granata e lo stesso Descalzi. I due pm si sono difesi chiedendo una consulenza tecnica più approfondita sul cellulare di Armanna, peccato che bastasse chiamare un operatore telefonico per scoprire che quei numeri erano farlocchi. Insomma non ci voleva un così grande sforzo per capire che di Amara e Armanna era meglio non fidarsi.
ENI NIGERIA eni LA NOTA DI FRANCESCO GRECO SUL VIDEO DI AMARA E ARMANNA muhammadu buhari 2