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    PROCESSO ENI-NIGERIA, CERCASI PROVE DISPERATAMENTE – SI PUÒ CHIEDERE UNA CONDANNA DI 8 ANNI DI GALERA SOLO IN BASE AGLI INDIZI? A RIVELARLO È LO STESSO PM FABIO DE PASQUALE CHE, DOPO BEN 6 ANNI DI INDAGINE, RIVOLTO AL TRIBUNALE, RISCRIVE IL DIRITTO PENALE: “NON CHIEDETECI UNA PROVA DIABOLICA, NON SIAMO IN UN FILM DOVE C’È LA PISTOLA FUMANTE: VI CHIEDIAMO DI VALUTARE LE PROVE COME LE INTENDONO LE CONVENZIONI INTERNAZIONALI, QUINDI ANCHE GLI INDIZI NEL LORO COMPLESSO, QUINDI ANCHE I PEZZI DELLA PISTOLA FUMANTE QUANDO LI SI TROVA IN GIRO...”


     
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    Luigi Ferrarella per Corriere.it

     

    FABIO DE PASQUALE FABIO DE PASQUALE

    La prova delle tangenti Eni in Nigeria nel 2011? Per la Procura molto sta nello «specchio olandese», e parecchio poi anche nel «tentativo di eliminare le prove a carico che è indice di reità». Arrivare cioè alla condanna di Eni (a 1 miliardo e 92 milioni di dollari di confisca, più 900.000 euro di sanzione pecuniaria) e del suo attuale amministratore delegato Claudio Descalzi (a 8 anni) partendo dalle mail sequestrate nel 2016 a Shell in Olanda,

     

    Descalzi Scaroni Descalzi Scaroni

    e, laddove manchi ancora un pezzo alla ricostruzione di una corruzione internazionale in Nigeria, colmarlo con le accuse a Descalzi del coimputato manager Eni Vincenzo Armanna, ritenute credibili alla luce delle successive ritrattazioni lette dalla Procura come effetto del «tentativo di inquinare il processo ad opera di Descalzi nel 2016 e della società Eni nel suo complesso nel 2017»:

     

    Scaroni Descalzi Bisignani Scaroni Descalzi Bisignani

    è questa la strategia che ieri ha innervato tutta la seconda giornata di requisitoria del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale al processo Eni-Nigeria sul miliardo e 92 milioni di dollari pagati nel 2011 da Eni e Shell al governo della Nigeria, su un conto ufficiale, per acquistare la concessione petrolifera «Opl-245» (una delle più ricche d’Africa), detenuta in concreto dall’ex ministro del Petrolio Dan Etete che anni prima se la era autoattribuita dietro lo schermo-prestanome della società Malabu.

     

    LE RICHIESTE DI PENA

    i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro -U43070110205349sDC-593x443@Corriere-Web-Sezioni i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro -U43070110205349sDC-593x443@Corriere-Web-Sezioni

    Requisitoria al cui termine, nell’aula bunker davanti al carcere di San Vittore, i pm De Pasquale e Sergio Spadaro hanno chiesto anche 8 anni di condanna al predecessore di Descalzi al vertice Eni, Paolo Scaroni, attuale presidente del Milan e vicepresidente di Rothschild in Italia;

     

    6 anni e 8 mesi al lobbista Luigi Bisignani, di nuovo alla ribalta da imputato dopo i 2 anni e mezzo incassati negli anni ‘90 per l’affare Enimont in Mani Pulite, e i 19 mesi patteggiati nel 2011 a Napoli per associazione e delinquere, favoreggiamento e rivelazione di segreto nel processo sulla «P4»;

     

    dan etete dan etete

    7 anni e 4 mesi all’ex numero tre della multinazionale olandese Shell, Malcolm Brinded (mentre anche per Shell è proposta la confisca di 1 miliardo e 92 milioni); 10 anni all’ex ministro del Petrolio nigeriano Dan Etete; 7 anni e 4 mesi all’allora capo delle esplorazioni Eni, Roberto Casula; 6 anni e 8 mesi a Ciro Pagano, ex managing director di «Nae» (società del gruppo Eni),

     

    e all’ex dirigente nell’area del Sahara, Vincenzo Armanna, per metà imputato e per metà autore di dichiarazioni accusatorie nei confronti di Descalzi; 6 anni all’imprenditore Gianfranco Falcioni, già vice console onorario in Nigeria, e a Ednan Agaev, ex ambasciatore russo in Colombia, mediatore per Shell; 6 anni e 8 mesi ai dirigenti di Shell, Peter Robinson, Guy Colgate e John Coplestone.

     

    IL «PRESERVATIVO»

    ENI NIGERIA ENI NIGERIA

    «La linea difensiva accreditata da Eni, e cioé non aver mai utilizzato intermediari, è una cosa che contrasta con la realtà, e che - affonda il pm - è anche un po’ intollerabile perché ripetuta innumerevoli volte non solo sui media ma pure in contesti istituzionali, e mi riferisco a una audizione in Commissione Industria dell’allora vertice di Eni».

     

    Per parlare con Etete, ricostruisce il pm, «Eni e Shell hanno dovuto scegliere come intermediari l’una il nigeriano Emeka Obi e l’altra l’azero Agaev, cioè in entrambi i casi due consulenti di Etete».

     

    estrazione di petrolio nel delta del niger in nigeria estrazione di petrolio nel delta del niger in nigeria

    Ma soprattutto l’indagine della Procura, avviata nell’estate 2014, ritiene di aver ricostruito che l’apparentemente lineare forma di pagamento di Eni direttamente al governo nigeriano (che poi girò alla società proprietaria Malabu i soldi che, rimbalzando su improbabili conti svizzeri e libanesi, tornarono infine in Nigeria non al popolo, ma al portafoglio tangentizio di ministri e politici per almeno 523 milioni), sia però stata non un reale modo per fare trasparenza nel turbolento ambiente nigeriano e nell’annoso contenzioso civile accesosi in Nigeria attorno alla controversa proprietà della concessione, ma solo l’accorta copertura formale (il «preservativo», secondo l’originale definizione di Agaev) per replicare e in concreto attuare l’iniziale (e poi abbandonato) schema d’affare.

    fabio de Pasquale fabio de Pasquale

     

    Schema nel quale Shell ed Eni si stavano orientando a pagare Malabu (cioè il ministro Etete) attraverso appunto intermediari come Agaev e Obi, quest’ultimo suggerito a Scaroni (e da questi all’allora direttore generale Eni Descalzi) da Bisignani, il quale (a sua volta in affari con il socio Gianluca Di Nardo) contava su un ritorno economico dall’affare.

     

    LA CAUSA A LONDRA

    Un lembo della vicenda affiorò curiosamente in Tribunale a Londra nel 2013 quando Obi, accusando Etete di non avergli corrisposto la mediazione pattuita nella prima fase di trattativa, in società forense con Di Nardo fece causa all’ex ministro nigeriano del Petrolio, vinse e ottenne 140 milioni spostati in Svizzera e pro-quota girati appunto al partner in affari di Bisignani, Di Nardo.

     

    Claudio Granata Claudio Granata

    Ma nel 2014 arrivarono i pm milanesi a chiedere il blocco di questi soldi, ritenuti segmenti del prezzo-tangente a monte: e confiscati nel settembre 2018 dalla sentenza milanese di primo grado della giudice Giusi Barbara, che nello stralcio in rito abbreviato scelto da Obi e Di Nardo condannò a 4 anni questi due coimputati degli odierni imputati di corruzione internazionale.

     

    LO SPECCHIO OLANDESE

    «Io non sono un patito delle intercettazioni, perché lì c’è spesso il gergo, le frasi lasciate a metà o incomprensibili, e poi la storia che “sì l’ho detto ma in realtà scherzavo...”. Invece i documenti non sono scalfibili», premette De Pasquale, che valorizza alcuni rapporti documentali tra Shell ed Eni: come il riassunto che Brinded fa di quanto dettogli da Descalzi dopo l’incontro (negato invece durante le indagini da Descalzi e Eni) tra Descalzi e il presidente nigeriano Jonathan;

     

    ROBERTO CASULA jpeg ROBERTO CASULA jpeg

    e come le mail scambiate dentro Shell tra i dirigenti Robinson, Colgate e Coplestone, questi ultimi due pescati da Shell nel servizio segreto estero britannico MI6», di cui erano stati capicentro ad Abuja (in Nigeria) e a Hong Kong, e che assieme ad Agaev per il pm costituiscono «un asse delle spie che attraversa questa vicenda».

     

    Le mail di Shell - riassume il pm - «potremmo chiamarle “lo specchio olandese” di Eni, dove cioè Eni si specchia nel conoscere che i soldi vanno in tangenti. Eni non lo ha mai messo per iscritto; Shell invece (forse perché nella sua storia non aveva mai subito una perquisizione e dunque non pensava mai di potervi essere sottoposta) lo ha fatto».

     

    DAN ETETE DAN ETETE

    E sono proprio le mail sequestrate nella perquisizione del 2016 al quartier generale di Shell in Olanda, e di cui non a caso si preoccupavano gli allora vertici di Shell in alcune intercettazioni, a fornire al pm munizioni sull’esistenza e consapevolezza di un «pay off», cioé di «compensi (a fronte di qualcosa di disonesto») tra «i tanti squali che giravano intorno all’affare» (altra espressione usata nelle mail).

     

    Per il pm da queste mail si potrebbe trarre addirittura «la formula delle tangenti: i soldi di Eni, più i soldi di Shell, uguale la tangente». Una verità che per il pm forse stava già persino in un rapporto investigativo interno a Shell, ma sul quale Shell ha però sinora calato «la cortina fumogena del supposto segreto professionale legale» sui propri standard di controllo.

     

    fabio de Pasquale fabio de Pasquale

    I MINISTRI NIGERIANI

    «Quando Eni dice di aver sempre trattato solo e direttamente con il governo», contesta il pm, «certo con il governo..., ma il governo è fatto di persone fisiche, e in questa vicenda le persone fisiche sono queste, sono i ministri della Giustizia che telefonano a Etete e dicono “dai i soldi” agli intermediari, senza i quali si sarebbe bloccata l’operazione e i quali poi avrebbero dovuto distribuire il denaro».

     

    Il diplomatico russo Ednan Agaev, imputato nel processo Opl245 Il diplomatico russo Ednan Agaev, imputato nel processo Opl245

    I soldi del prezzo ufficiale pagato al governo da Eni e Shell, monetizzati in contanti presso cambiavalute locali per oltre mezzo miliardo di dollari smistati poi da Abubaker Aliyu, tesoriere dei corrotti locali, sarebbero andati (per le poche parti tracciabili ad avviso dell’accusa) a politici nigeriani quali l’allora presidente Jonathan Goodluck, i ministri della Giustizia Adoke Bello e Bajo Oyo, del Petrolio Diezani Alison Madueke, e della Difesa Aliyu Gusau.

    DESCALZI GRILLO DESCALZI GRILLO

     

    Tra le molte anomalie che viziarono il travagliato iter dell’affare, il pm addita peraltro la sottovalutazione dentro Eni della biografia del detentore della concessione, l’ex ministro Etete, all’epoca giá condannato in Francia per riciclaggio (prima a pena detentiva e poi invece al pagamento di 8 milioni di sanzione);

     

    l’apparente superficialitá con la quale Eni interloquí da subito con il mediatore Obi benché questi a lungo non avesse ancora alcun formale mandato a trattare da parte di Malabu-Etete; l’affidamento della concessione senza gara, procedura che in Nigeria era stata abbandonata dai tempi della dittatura anni ‘80;

    fabio de Pasquale fabio de Pasquale

     

    e il fatto che l’affare abbia scavalcato l’”indigenous policy”, la pratica per cui era previsto un occhio di favore per le aziende locali, qui bypassata dalla scappatoia del “sole risk”, cioé dall’assegnazione in via eccezionale solo a stranieri, come non era accaduto da molto anni.

     

    ARMANNA E I DEPISTAGGI

    Nella parte finale il pm De Pasquale ha affrontato l’atteso tema della credibilità o meno di Armanna, il project-leader di Opl-245 che prima rese nel 2014 una «dichiarazione spontanea» ai pm, poi «dialogò» a mezzo stampa (per interposte interviste) con Descalzi, e in tre interrogatori lo accusò di sapere che l’affare nigeriano avrebbe dovuto comportare tangenti a politici locali;

     

    poi però il 27 maggio 2016 in una memoria minimizzò o edulcorò il ruolo di Descalzi, salvo non fare del tutto marcia indietro in un confronto nel luglio 2016 con Descalzi (dai toni inconsuetamente felpati e rispettosi tra i due).

     

    vincenzo armanna vincenzo armanna

    Poi fece anche finta di inoltrare per errore una propria mail al difensore catanese di uno degli dichiaranti siciliani del cosiddetto «complotto anti-Descalzi» (quello che si scoprirà attivato dal legale esterno Eni Piero Amara presso il sodale pm siracusano Giancarlo Longo, che per corruzione patteggerà 5 anni):

    valigia di emeka obi valigia di emeka obi

     

    mail nella quale Armanna accreditava pressioni dei pm milanesi in combutta con il suo difensore Luca Santamaria per parlare delle tangenti Eni ai nigeriani in cambio di un trattamento giudiziario di favore, e mail singolarmente finita in mano a Eni, i cui legali di Carlo Federico Grosso e Nerio Diodá il 6 maggio 2017 la consegnarono in Procura a Milano, specificando di non sapere se fosse autentica.

     

    bisignani-purgatori-pardo-feltri bisignani-purgatori-pardo-feltri

    Vicende altalenanti delle quali Armanna al processo in aula nel luglio 2019 ha dato una nuova spiegazione, affermando che tre punti della propria memoria edulcorante nel 2016 il ruolo di Descalzi gli erano stati scritti e consegnati direttamente dal numero tre Eni Claudio Granata per conto di Descalzi;

     

    e che l’apparente inoltro per sbaglio della propria mail avrebbe fatto parte di un accordo con Eni per minare la credibilità delle proprie iniziali dichiarazioni accusatorie, in cambio della promessa di rientrare in Eni dopo un licenziamento su questioni di note spese.

     

    FRECCERO E BISIGNANI FRECCERO E BISIGNANI

    Ma Armanna dice il vero? Il pm De Pasquale se lo chiede, e ricorda che nello scorso febbraio «voi giudici avete ritenuto di non ascoltare i testimoni» chiesti dall’accusa per corroborare la richiesta di asserita prova sopraggiunta e assolutamente indispensabile per la decisione: «Ma a nostro avviso - dice il pm - già il tenore letterale della memoria di Armanna, e della mail inoltrata in apparenza per errore, provano la verità di quello che dice Armanna, tanto trasudano di falsità e imbeccate»; e mostrano che «Descalzi nel caso della memoria, e la societá Eni nel suo complesso nel caso delle mail, hanno cercato di inquinare questo processo».

     

    L’ATTENDIBILITA’ DI ARMANNA

    PAOLO SCARONI PADELLARO E STEFANO FELTRI ALLA FESTA DEL FATTO QUOTIDIANO PAOLO SCARONI PADELLARO E STEFANO FELTRI ALLA FESTA DEL FATTO QUOTIDIANO

    Strenua è la difesa che il pm opera dell’attendibilità di Armanna, ad avviso di De Pasquale non intaccata dal video registrato a sua insaputa da alcuni imprenditori e valorizzato ora dalla difesa perché (precedente di poco alla sua presentazione spontanea in Procura ) per Eni lo mostrerebbe intenzionato a tirare artificiosamente in ballo alcuni manager Eni per aprirei affari propri in Nigeria:

     

    uffici eni san donato uffici eni san donato

    «Un video registrato in maniera non legale e fatto per provare a incastrarlo», dice il pm, per il quale Armanna «poi comunque non ha invece calunniato nessuno». Nemmeno sarebbe intaccata dallo 007 dell’Aise, Castelletti, che ha negato quanto Armanna affermava a conoscenzan di entrambi.

     

    E la credibilità di Armanna nemmeno sarebbe intaccata dalla telenovela di “Victor”, il mitologico 007 nigeriano che per Armanna avrebbe potuto confermare la storia dei 50 milioni in contanti trasportati in aereo in un trolley a casa di Casula: teste prima identificato in un poliziotto rivelatosi in realtá la persona sbagliata, poi in apparenza fattosi vivo con una lettera in cui sembrava pronto a confermare Armanna, e infine però venuto in aula a Milano a deporre invece di non aver mai detto o saputo le cose attribuitegli da Armanna.

    il poliziotto nigeriano Isaac Eke il poliziotto nigeriano Isaac Eke

     

    «Quando si parla di servizi segreti si fa sempre fatica ad afferrare le situazioni...», accenna il pm, che per sicurezza cerca comunque di arretrare la trincea più indietro, e cioé (in base a una sentenza di Cassazione del 2019) sulla possibilità per i giudici di valutare ugualmente le dichiarazioni del teste diretto (qui Armanna che è pure imputato) anche quando sia stato smentito dal suo teste di riferimento (qui «Victor»), «tanto più se la smentita è strana».

     

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    Se mai, fa capire il pm, è Armanna stesso ad aver intaccato se stesso quando ha dato una versione implausibile sul milione di dollari che incassò e che ha provato a giustificare con un improbabile misto tra questioni ereditarie e futuri affari nel settore dell’oro.

     

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    È sufficiente per dire che, almeno a livello di «riscontro logico», tutti (come Armanna sostiene) sapevano delle tangenti ai politici nigeriani, «quantomeno Descalzi e Casula»? Il pm sembra anticipare la domanda quando, rivolto al Tribunale, quasi invoca: «Non chiedeteci una prova diabolica, non siamo in un film dove c’è la pistola fumante: vi chiediamo di valutare le prove come le intendono le convenzioni internazionali, quindi anche gli indizi nel loro complesso, quindi anche i pezzi della pistola fumante quando li si trova in giro».

     

    Adoke Bello eni-nigeria Adoke Bello eni-nigeria

    La corruzione internazionale «é un reato molto grave, é un danno alla democrazia, è un’appropriazione di risorse dei popoli e dunque un danno all’economia, è un’emergenza come il riscaldamento globale: ma se ne afferra ancora poco il disvalore, è un tema su cui c’è molto “chiacchere e distintivo”».

     

    SI RIPRENDE A SETTEMBRE

    Il 9 settembre prenderà la parola l’avvocato Lucio Lucia, che con la collega Valentina Alberta rappresenta gli interessi patrimoniali e morali (lesi dall’ipotizzata corruzione) della Nigeria, il cui governo si è costituito parte civile contro gli imputati. Poi, dopo toccherà alle arringhe dei difensori.

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    Il verdetto - che dovrá affrontare anche i medesimi profili giuridici sfociati sinora sia in Tribunale sia in Appello nell’assoluzione di Eni e dell’allora a.d. Scaroni nel processo sulle contestate tangenti di Saipem in Algeria, dove pure erano stati chiesti 6 anni e 4 mesi di condanna per Scaroni, e dove Descalzi era stato solo testimone - è possibile venga emesso entro fine anno dai giudici Tremolada-Gallina-Carboni.

    Ibe Kachikwu Ibe Kachikwu

     

    LA DIFESA DI ENI

    Eni fa sapere di «considerare prive di qualsiasi fondamento le richieste di condanna avanzate dal pm», il quale nella requisitoria, «in assenza di qualsivoglia prova o richiamo concreto ai contenuti della istruttoria dibattimentale», avrebbe «ribadito la stessa narrativa della fase di indagini, basata su suggestioni e deduzioni, ignorando che sia i testimoni, sia la documentazione emersa hanno smentito, in due anni di processo e oltre quaranta udienze, le tesi accusatorie».

     

    giuseppe conte claudio descalzi mohammed bin zayed al nahyan giuseppe conte claudio descalzi mohammed bin zayed al nahyan

    Eni ritiene che «le difese dimostreranno al Tribunale che Eni e il suo management operarono in modo assolutamente corretto nell’ambito dell’operazione Opl245», perché «Eni e Shell corrisposero per la licenza un prezzo d’acquisto congruo e ragionevole direttamente al governo nigeriano, come contrattualmente previsto attraverso modalità chiare, lineari e trasparenti;

     

    Eni, inoltre, non conosceva, né era tenuta a conoscere, l’eventuale destinazione dei fondi successivamente versati a Malabu dal governo nigeriano, pagamento che peraltro avvenne dopo un’istruttoria dell’Autorità Anticorruzione della Gran Bretagna (SOCA)».

     

    ENIGATE CLAUDIO GATTI ENIGATE CLAUDIO GATTI

    Per il colosso energetico, dunque, «non esistono tangenti Eni in Nigeria e non esiste uno scandalo Eni», anzi «i provvedimenti del Dipartimento di Giustizia e dalla Sec americani hanno chiuso le proprie indagini senza intraprendere alcuna azione nei confronti della società. Le molteplici indagini interne affidate a soggetti terzi internazionali da parte degli organi di controllo della società avevano già da tempo evidenziato l’assenza di condotte illecite».

    Ciro Antonio Pagano Ciro Antonio Pagano

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