Antonio Riello per Dagospia
tate modern
Anicka Yi (1971) e’ il prototipo ideale dell’artista del XXI Secolo. Perfettamente a suo agio tra la cultura orientale e quella occidentale (e’ nata a Seul ma ha studiato negli Stati Uniti), con una forte coscienza ambientale, capace di un approccio altamente multidisciplinare (Biologia, Biochimica, Tecnologie Digitali, Fisiologia, Arti Visive), molto attenta alle tesi femministe, con un esistenza piuttosto nomade (Parigi, New York, Londra).
L’11 Ottobre inaugura la sua installazione per la Turbine Hall della Tate Modern. Nella conferenza stampa non ha giustamente rivelato granche’ sulla nuova opera. Quello che sappiamo del suo lavoro ci fa comunque immaginare piu’ a una situazione esperienziale e multisensoriale che a un qualcosa che sia semplicemente da guardare.
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Si e’ limitata a dire che cerchera’ di usare la grande massa d’aria che si trova all’interno dello spazio che, da solo, occupa quasi meta’ della Tate e che ha gia’ ospitato da Anish Kapoor, Louise Bourgeois e molti altri. Il progetto e’ curato da Achim Borchardt-Hume, Mark Godfrey, Carly Whitefield e Petra Schmidt. Il finanziatore/sponsor e’ la casa automobilistica coreana Hyundai.
anicka yi beyond skin
Questa artista e’ universalmente nota nel mondo dell’Arte per aver portato l’olfatto al centro della sua ricerca. Insomma e’ una “scultrice di odori”, se cosi’ si puo’ dire. Il piu’ negletto e discriminato dei sensi con lei diventa protagonista assoluto. Qualsiasi cosa (anche la piu’ improbabile) viene trasformata da questa artista in molecole odorose che poi vengono “trafficate” e trasformate in qualcos’altro. E soprattutto sa far diventare l’Arte un vero e proprio spettacolo tecnologico (senza mai trascurare un certo grado di impegno civile e politico).
Vista da una prospettiva opposta Anicka Yi potrebbe essere pensata come una scienziata che sa creare un convincente display visivo-artistico alle sue ricerche. Con lei batteri, fermentazioni, ferormoni, mediatori biochimici, miceti, lieviti, alghe, insetti diventano gli ingredienti di installazioni estremamente innovative dove i confini tra riflessione umanistica e pratica scientifica davvero scompaiono.
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Inevitabilmente tra i suoi maggiori interessi c’e’ anche la cucina, e soprattutto i processi fermentativi (molto cari alla gastronomia coreana, basti pensare al famoso cavolo fermentato noto come Kimchi). In una breve chiacchierata con i giornalisti racconta delle sue tantissime idiosincrasie alimentari. Praticamente puo’ mangiare solo carne di animali cresciuti liberi mangiando erba, pesce selvatico (non di allevamento), alcune verdure (pochissime) e frutta freschissima. Tutto il resto le fa male, sale compreso. Beve solo Kombucha (una particolare bevanda fermentata). Non va mai al ristorante e si fa da mangiare da sola.
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Nel 2015 alla Kitchen Gallery di NYC realizza una delle sue memorabili installazioni “You Can Call Me F”. Coinvolge un ricercatore del MIT di Boston, Tal Danino, recupera 100 tamponi dal corpo (vagina, ascelle, cavita’ orale) di 100 diverse signore e ne coltiva i batteri in altrettante capsule di Petri piene di Agar-Agar. A questo punto il progetto, dopo aver creato questo archivio batterico al femminile, inizia ad indagare, attraverso il pubblico la atavica “Paura Patriarcale” dei maschi verso il corpo delle donne. Mostra quasi epocale.
Vince, nel 2016 al Guggenheim di New York, il Premio Hugo Boss dove, con l’opera “Life Is Cheap”, teorizza una sorta di “Biopolitica dei Sensi”. Esaminando in concreto come le reazioni olfattive siano fortemente condizionate da fattori legati al sesso di appartenenza, alla “razza” e alla classe sociale. L’odore diventa, in qualche modo, addirittura materia visibile nella sua installazione.
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Alla Biennale del Withney (2017) presenta un video, questa volta di carattere botanico, dal nome “Flavour Genome”, improntato sulla critica all”Imperialismo Scientifico” delle grandi aziende multinazionali.
Nel 2019 c’e’ il lancio della prima opera d’arte in forma di profumo: “Biography” e’ il nome del prodotto. E’ stato realizzato dall’artista assieme a Barnabé Fillion (celebre creatore di essenze). In realta’ si tratta di 3 diversi profumi (“Shigenobu Twilight”, “Radical Hopelessness” e “Beyond Skin”) che dovrebbero/potrebbero adattarsi alle diverse identita’. Di fatto in questo caso il concetto di essenza si dilata diventando una raffinatissima denuncia “a fior di pelle” della condizione femminile subalterna. Oggi introvabile.
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Gia’ qualche anno prima, sempre con Fillion, aveva gia’ lavorato ad un’altra essenza che aveva il suo epicentro nel meccanismo fisiologico e biochimico del ricordare, si chiamava “Aliens and Alzheimer’s”.
Per la Biennale di Venezia del 2019, alle Corderie dell’Arsenale, crea “Biologizing the Machine”, una serie di grandi contenitori sospesi al soffitto (pieni di insetti animatronici) accompagnati, al suolo, da delle vasche di terra dove lo sviluppo di vari microorganismi era controllato da un algoritmo. Organico e artificiale a braccetto. Come si diceva da noi ancora un po’ di anni fa: “Roba da Fantascienza”.
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Ovviamente, con questi presupposti, l’attesa e la curiosita’ per la sua prossima creazione londinese e’ ai massimi livelli. Si suppone ragionevolmente che, magari attraverso qualche complesso marchingegno scientifico, la pandemia ne fara’ parte.
Anicka Yi
Il progetto realizzato per la Tate e’ un esercizio di grande intelligenza e una prova di capacita’ artistico-tecnologiche notevole. Un gruppo di esseri misteriosi volteggiano minacciosamente e in continuazione sulla testa dei visitatori. Un po’ ragni, un po’ polipi, un po’ meduse a secco, un po’ cyber-alieni un po’ microorganismi. Sembrano interagire tra loro seguendo linguaggi/algoritmi insondabili. Ci sono dei diffusori chimici che ciclicamente spruzzano molecole capaci di reagire con il nostro olfatto. Pero’ bisogna dire che l’intensita’ di questi odori e’ piuttosto modesta e in pratica assai difficile da catturare per il visitatore.
Il problema vero e’ comunque un altro: le dimensioni di queste strane creature volanti, non certo minuscole, non funzionano bene purtroppo se paragonate alla scala degli spazi della Turbine Hall. Tutto sembra piccolo e, in verita’, un po’ insignificante (gli esseri bio-techno quasi spariscono inghiottiti dallo spazio intorno, veramente gigantesco). Un vero peccato. La dimensione in questo caso puo’ fare la differenza.
Anicka Yi
Tate Modern, Turbine Hall
Bankside, Holland Street, Londra SE1
dal 11 Ottobre 2021 al 16 Gennaio 2022
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