Dagopronostici
chelsea e hillary clinton
Wall Street sarà impietosa. Se vince Hillary Clinton la Borsa vola, se vince Trump ci saranno settimane di crolli con il dollaro in difficoltà così come è avvenuto in Inghilterra dopo la Brexit. Da una parte le politiche monetarie stanno per lasciare il posto alle politiche fiscali, dall’altra le politiche fiscali stesse stanno per essere governate da nuovi protagonisti (Trump e il nuovo Congresso) o, in alternativa, da un sistema che sarà paralizzato da una crisi costituzionale che si preannuncia di ampie proporzioni. E la vecchia Europa come sempre seguirà a ruota.
Se la Clinton sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti, il suo margine di vittoria si prospetta esiguo, al punto che non riuscirà a portare con sé anche il Congresso. Ciò, comunque, pare piaccia ai mercati (esecutivo ai democratici e legislativo ai repubblicani) anche se tra i due poteri, c’è da tenere conto che non mancheranno lunghe e aspre battaglie.
bill e hillary clinton
Lo scenario, pertanto, continuerà a essere interessante visto che in ballo ci sono ancora le possibili irregolarità legate alla Clinton Foundation e il filone dei documenti classificati, con la probabilità di una una procedura di impeachment da parte del Congresso. Obama, se vuol giocare d’anticipo, ha tempo fino a fine gennaio per concedere il perdono presidenziale alla Clinton, sebbene la decisione potrebbe essere estremamente impopolare.
La prassi, infatti, vuole che sia il presidente entrante, appena legittimato dal voto popolare, a perdonare quello uscente, non il contrario (Ford perdonò il suo predecessore Nixon). Qualora invece sia Donald Trump a vincere, il perdono rientrerà nella consuetudine e non sarà particolarmente controverso. Anche se Hillary è la favorita, alle elezioni del 1980 Reagan, con un formidabile recupero negli ultimi sette giorni, vinse le elezioni contro il democratico Jimmy Carter.
donald trump mike pence
Certamente oggi la vittoria del tycoon, che considera Putin come un possibile partner ed elogia Erdogan, aprirebbe una pagina nuova ma piena di incognite. Anche Ronald Reagan, durante la campagna elettorale, fu aspramente criticato: ex attore inadatto alla presidenza, paranoico guerrafondaio con istinti aggressivi, Wall Street ci mise ben due anni prima di accettarlo e la borsa scese del 20 per cento dopo la sua elezione, ma salì del 145 per cento nei sei anni successivi. Oggi a Reagan è riconosciuto che pose fine alla guerra fredda e portò gli Usa dalla stagflazione al boom economico.
RICHARD NIXON
Trump si troverebbe certo margini più stretti, che sono un debito pubblico già alto con un rialzo dei tassi che impatterebbe subito sul disavanzo, quanto alla Borsa, siamo sui massimi storici. Trump stesso, da più di un anno, ammonisce che è troppo alta. Il repubblicano inoltre passa per uno ‘spendaccione’ e la minaccia che farebbe esplodere il disavanzo pubblico è passata come slogan elettorale dei democratici.
Si trascurano però due cose: la prima è che Trump da una parte annuncia di volere abbassare le tasse, ma dall’altra non smette di denunciare l’elevato livello di debito statunitense; la seconda è che si è scelto il poco scenografico Pence come vice, certo per assicurarsi il voto degli evangelici, ma anche perché a Pence, in Indiana, è riuscito di abbassare le tasse, aumentare le spese sociali e allo stesso tempo avere il plauso delle agenzie di rating per il risanamento finanziario conseguito.
REAGAN E TRUMP
I mercati perciò si trovano di fronte a un bivio: da una parte la Clinton e la continuazione delle politiche monetarie attuali in versione sempre più stanca con l’impossibilità di attuare politiche fiscali seriamente espansive per l’opposizione del Congresso; dall’altra un Trump a cui è difficile, se non impossibile prendere le misure e che dovrebbe faticare parecchio per superare la dura opposizione democratica e le divisioni tra gli stessi repubblicani.
Quanto al dollaro, con la Clinton non cambierebbe molto, con Trump, anche in questo caso, la visione è meno chiara.
WALL STREET BORSA NEW YORK STOCK EXCHANGE
Nella presidenza Reagan la combinazione di tassi in rialzo e politica fiscale espansiva portò a un fortissimo rialzo del dollaro (che però partiva da livelli depressi). La voglia di rinegoziare i rapporti commerciali potrebbe indurre Trump a usare il dollaro, indebolendolo, come arma di pressione.