Giusi Fasano per il "Corriere della Sera"
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È successo la mattina del 29 aprile. A casa Danilovich si sono presentati in sei. Nessun distintivo, né auto di servizio.
Sei uomini che si sono fatti aprire la porta senza troppi complimenti e hanno frugato ovunque. Cercavano computer, documenti, telefoni cellulari e dispositivi elettronici di Iryna Danilovich, che nella vita fa l'infermiera ma che da anni collabora come giornalista con i siti di informazione InZhir Media e Crimean Process.
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Tutto questo nel villaggio di Koktebel, Crimea. Il padre di Iryna, Bronislav, ha provato a obiettare qualcosa, a capire. Ma è stato inutile. Quei tizi gli hanno mostrato velocemente un foglio che a loro dire era il mandato di perquisizione e se ne sono andati con una scatola di cose trovate nella stanza di lei.
Non prima di dare a suo padre una pessima notizia: la figlia - hanno spiegato senza entrare nei dettagli - era in stato di detenzione per aver passato non meglio precisate informazioni a qualcuno non specificato.
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Tutto molto fumoso. Inutile chiedere copia del mandato di perquisizione. Inutile provare a fare domande di qualsiasi genere. Compresa quella fondamentale: dove si trova Iryna?
Niente. Nessuna risposta.
E da allora di Iryna non si sa più nulla. Gli uomini che hanno perquisito la casa che lei condivide con i genitori avevano accennato a «dieci giorni di detenzione». Ma i dieci giorni sono passati e di lei ancora non c'è traccia. Né è dato sapere di che cosa sarebbe accusata esattamente.
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La sua famiglia, i suoi amici, il suo avvocato, sono sempre più preoccupati. Hanno presentato una segnalazione all'Ufficio del procuratore della Crimea, hanno firmato una denuncia, hanno lanciato appelli di ricerca alle organizzazioni umanitarie che sono operative in quell'area ma finora tutto è stato inutile.
Iryna è un'attivista per vari fronti umanitari e sui canali Telegram delle associazioni con le quali lavora l'allerta per la sua scomparsa nelle ultime ore si è moltiplicata. Anche la Commissaria ucraina per i diritti umani Lyudmyla Denisova ieri pomeriggio si è occupata del suo caso: ha pubblicato un appello alla Commissione delle Nazioni unite che indaga sui diritti violati durante questa guerra.
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Chiede che anche la storia di Iryna sia inserita nell'elenco della violazione dei diritti umani in Ucraina e definisce «rapimento» il suo arresto. «Ha pubblicato solo informazioni reali», dice.
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Con la firma dello pseudonimo Pavel Buranov e con il suo vero nome sul profilo Facebook, Iryna si è occupata più volte in passato dei problemi del sistema sanitario in Crimea che lei conosce bene per via del suo lavoro al Medical center di Vladyslavivka. E per i suoi articoli, come la sua attività sindacale, aveva già subito pressioni amministrative e minacce di querele. Quale sia stavolta la sua presunta «colpa» nessuno lo sa.
Non si hanno notizie nemmeno di una data per una eventuale udienza davanti a un giudice e il suo avvocato non è riuscito a ottenere un incontro con lei. Il post più recente che ha pubblicato su Facebook è del 5 marzo: riguardava la decisione della russa Novaya Gazeta di sospendere le pubblicazioni.