Guido Olimpio,Marco Imarisio per il “Corriere della Sera”
BESEDA
Ai funerali di Nikolay Leonov è stato sepolto un veterano e resuscitato un fantasma. Perché nella sorpresa generale, il discorso in memoria dell'anziano dirigente del Kgb che fu amico di Fidel Castro e Che Guevara, morto serenamente di vecchiaia, è stato tenuto da Sergey Beseda.
In questo frullatore di nomi dell'apparato di sicurezza o dell'esercito che vengono rimossi, che appaiono o scompaiono, lui è stato il primo ingrediente, senz' altro il più importante. Il suo ultimo incarico conosciuto era quello di direttore del Quinto Servizio, il settore esteri dell'Fsb, il servizio segreto russo erede del Kgb.
L'espansione del ruolo dell'Fsb oltre i confini nazionali venne decisa alla fine degli anni Novanta dal suo capo di allora, un certo Vladimir Putin. Ma a partire dal 2004, questo nuovo ramo così strategico ha avuto al vertice Beseda, che invece guidava il dipartimento addetto alla sicurezza del presidente.
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Era un uomo di fiducia. E infatti aveva destato scalpore la notizia del suo arresto avvenuto il 10 marzo, rivelata dai giornalisti di inchiesta Andrei Soldatov e Irina Borogan, ma mai confermata da fonti ufficiali. Anche perché da quel giorno Beseda era scomparso, insieme al suo vice Anatoly Bolyuch che ne aveva seguito la sorte. Due indizi facevano una prova, così come la non menzione dei due funzionari in qualunque comunicato dell'Fsb.
Risultava che non fossero neppure ai domiciliari, ma chiusi nel carcere di Lefortovo, e una mezza ammissione delle loro famiglie dava credito a questa circostanza.
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Il capro espiatorio La rimozione così brusca di una persona che poteva definirsi amico personale di Putin era stata letta come una implicita ammissione del fallimento della prima fase dell'operazione militare speciale. La colpa di Beseda era quella di aver sbagliato ogni possibile previsione sulla resistenza ucraina, di aver fatto credere al suo presidente che sarebbe stata una marcia trionfale fino a Kiev. Nulla è andato come previsto, ormai lo sappiamo. E in puro stile sovietico, Beseda era diventato un capro espiatorio, un nemico del popolo, accusato persino di aver fatto trapelare notizie finite agli americani, così bene informati sui piani dei rivali.
Erano i giorni delle purghe, vere o presunte, che facevano seguito al pantano dove in apparenza si era infilato l'esercito russo. Quando si sbaglia, qualcuno deve pur sempre pagare. E Beseda era l'agnello sacrificale di maggior peso. Oggi le cose sono cambiate. Oltre che speciale, l'operazione militare in Ucraina si annuncia lunga.
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Occorre mostrare compattezza, poi si vedrà. Davanti alle voci che si rincorrevano, il Cremlino ha atteso diversi giorni. E venerdì ha confermato la presenza di Beseda alle esequie di Leonov. Secondo i media indipendenti, il ritorno in pubblico del funzionario ripudiato è un classico del vecchio Kgb, un tentativo di mascherare i dissensi interni usando il rito funebre del veterano.
Il fronte interno Ma non esiste solo il fronte militare. La vita in Russia non è facile, di questi tempi. Nessuno chiede più agli oligarchi e ai grandi finanzieri di pronunciare il loro no alla guerra. Molti di loro stanno aggirando la questione, rilasciando dichiarazioni al tempo stesso caute e preoccupate sullo stato dell'economia.
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Senza mai criticare Putin, si capisce. Vladimir Lisin, il magnate dell'acciaio, ha criticato la proposta del Parlamento russo di obbligare gli Stati occidentali a pagare in rubli ogni prodotto importato dalla Russia, non solamente il gas. «Farebbe saltare in aria le nostre esportazioni, e ci sbatterebbe fuori dai mercati internazionali».
Non lo ha detto a qualche sito indipendente, ma al principale quotidiano di Mosca. Vladimir Potanin, proprietario della Norilsk Nickel, una delle persone che ideò le privatizzazioni degli anni Novanta, ha affermato in pubblico che l'idea, suggerita da Putin stesso, di confiscare le proprietà delle aziende straniere che hanno lasciato il Paese «ci farebbe tornare indietro al 1917».
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Persino Alexej Kudrin, l'ex ministro delle Finanze, un fedelissimo del presidente, ha parlato alla Duma dicendo che la Russia sta andando verso «una crisi ancora più terribile di quella del 1992, del 2009 e della pandemia». Sono piccoli segnali sempre più frequenti, che giungono da personaggi legati a doppio filo all'attuale situazione. Molti oligarchi sanno che con una eventuale fuga dal Paese perderebbero gran parte del loro patrimonio e dei loro privilegi.
Quindi restano, assistendo impotenti al lento processo di logoramento dell'economia pubblica e privata. Tutti per uno, come dimostra anche la risurrezione di Beseda. Fino a quando non finirà la battaglia nel Donbass. Subito dopo, potrebbe cominciarne un'altra. E a combatterla, questa volta, potrebbero essere le élite russe.
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