Ilario Lombardo per “la Stampa”
DRAGHI ERDOGAN - MEME BY CARLI
Grano, Africa, migranti, Libia. Tutto è guerra, in questi mesi: effetti a catena di un conflitto con cui una parte di mondo deve fare i conti. Sono capitoli diversi di un unico dramma, emergenze per due Paesi che nello spazio del Mediterraneo difendono i propri interessi. Il grano bloccato nei porti ucraini può peggiorare la fame in Africa e creare nuovi imponenti flussi di profughi verso le coste libiche, eternamente in fiamme, moltiplicando i problemi di sicurezza in Europa.
I missili di Vladimir Putin hanno scatenato tutto questo. Turchia e Italia non vogliono farsi travolgere. E, al di là dei singoli protocolli di intesa che sono stati firmati ieri durante il vertice interministeriale di Ankara, il cuore del confronto tra il premier italiano Mario Draghi e il presidente turco Recep Tayyp Erdogan va inquadrato nell'attualità della guerra in Ucraina.
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Erdogan appare fiducioso sulle rotte del grano e si dice convinto che «in una settimana-dieci giorni cercheremo di arrivare a un risultato». Il piano dell'Onu prevede di far passare le navi senza sminare i porti del Mar Nero, di consegnarle ai turchi che le scorteranno fino a destinazione.
Ankara avrà il compito di garantire al presidente ucraino Volodymyr Zelensky che i russi non attaccheranno durante l'operazione di sblocco dell'export, e a Mosca che le imbarcazioni non serviranno a trasportare armi con cui rifornire Kiev. Il ruolo di Erdogan, riconosce Draghi, va sostenuto senza ulteriori ritardi.
putin erdogan gustano un cornetto
«Le tre parti - Nazioni Unite, Ucraina e Turchia - sono pronte. Attendono l'adesione finale del Cremlino», rivela Draghi: «Sarebbe il primo tentativo di arrivare a un'intesa». Per questo sarebbe molto importante, secondo Draghi, come prova generale per misurare le volontà di entrambi.
Durante il colloquio, Erdogan assicura a Draghi che a breve sentirà sia Zelensky sia Putin. Devono fidarsi l'uno dell'altro. È il primo passo da fare per aprire i corridoi del grano nel Mar Nero ed evitare che la crisi affami l'Africa. Il sottinteso che lega l'esportazione bloccata dei cereali all'aumento incontrollato dell'immigrazione emerge nelle parole successive di entrambi i leader.
mario draghi recep tayyip erdogan
La Turchia è la porta verso l'Europa del fronte orientale. Erdogan la può aprire e chiudere a piacimento. E ci tiene a sottolinearlo quando scarica sulla Grecia la responsabilità dei flussi triplicati. «Ha cominciato a essere un pericolo pure per l'Italia».
Per il presidente turco la politica dei respingimenti di Atene spinge i rifugiati a fare direttamente rotta in Italia. Ed è con una certa malizia che chiede un commento a Draghi. La replica è ruvida: «La gestione dei flussi migratori deve essere umana, equa ed efficace ma anche un Paese aperto come l'Italia ha dei limiti e ci siamo arrivati». Il premier risponde alle sollecitazioni turche sulla Grecia, ma è come se mandasse un messaggio anche in Italia, a Matteo Salvini, tornato a sferzare il governo, in una ritrovata competizione con il leader del M5S Giuseppe Conte.
recep tayyip erdogan luigi di maio
« Le navi italiane salvano i migranti che arrivano nei propri mari. Il nostro comportamento è straordinario, siamo il Paese più aperto da questo punto di vista ma non possiamo essere aperti senza limiti. A un certo punto non ce la facciamo più». Il tema, assicura Draghi, verrà riproposto a livello europeo. Nel frattempo la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese è al lavoro con l'omologo turco per frenare il più possibile gli arrivi irregolari. Erdogan anticipa che si sta studiando un meccanismo congiunto di controllo dei flussi.
A breve, infatti, dovrebbero chiudere un accordo per uno scambio di poliziotti. Agenti e ufficiali di collegamento che avranno il compito di monitorare gli scali aerei e marittimi, arrestare scafisti, seguirli e fermare ulteriori arrivi.
recep tayyip erdogan giancarlo giorgetti
Sono passati quattordici mesi da quando Draghi definì incautamente Erdogan un «dittatore di cui si ha bisogno». Il tempo e la guerra hanno lenito le ferite del turco e affinato la sensibilità diplomatica del premier italiano. Nella piazza di fronte al palazzo presidenziale di Ankara, Draghi partecipa al rituale del picchetto militare. Urla in un turco un po' incerto la formula: «Ciao, soldato!».
Sul lungo tappeto azzurro Erdogan è accanto a lui. Il vertice è la consacrazione di un rapporto che si fonda su un riconoscimento di un «partner strategico, un alleato Nato e un Paese amico» che con l'Italia ha le proprie rivalità e le proprie strategie convergenti nel Mediterraneo. Uno degli accordi firmati dai due governi, che la diplomazia italiana considera tra i più significativi, riguarda la reciproca protezione delle informazioni classificate dell'industria della difesa.
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Una cornice necessaria per l'ingresso della Turchia nel consorzio italo-francese che produce i sistemi di difesa antimissile Samp/T e che potrà sostituire le forniture di armamenti del genere garantite dai russi ai turchi. Sull'energia, invece, Erdogan e Draghi hanno ribadito la propria collaborazione a partire dalla partnership dentro il Corridoio meridionale del gas che dal Caucaso arriva fino alle coste italiane.
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Liberarsi dai vincoli di Mosca e contenere l'espansione di Putin può diventare un obiettivo comune. Anche in Libia dove negli ultimi anni Roma e Ankara sono stati in competizione e dove, anche addestrando le truppe ufficiali libiche, c'è la necessità di stabilizzare una realtà in cui si muovono i paramilitari russi della compagnia Wagner. -
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