Giosuè Boetto Cohen per www.corriere.it
fantozzi e la signorina silvani con la bianchina
Bianchina berlina quattro posti
A distanza di anni è facile domandarsi come certe automobili possano essere entrate in produzione. Aver destato interesse sui tavoli da disegno, superato le riunioni del «centro stile» e quelle con l’amministratore delegato.
bianchina berlina quattro posti 5
Peggio ancora, per quale ragione la gente le abbia acquistate. Talvolta con entusiasmo. Ma nel tempo in cui queste decisioni venivano prese, molti fattori influenzavano il lavoro dei progettisti, da quelli di ordine tecnico giuridica (per esempio le nuove norme in materia di sicurezza).
Cerchiamo quindi di essere magnanimi nello stilare questa improbabile classifica, che saltando arbitrariamente tra le epoche e le marche, contiene alcune verità, ma è probabilmente viziata dal gusto personale. Differentemente non potrebbe essere: l’automobile resta una delle emanazioni più dirette del nostro «io».
Austin 1800
austin 1800
Anche i geni possono sbagliare. E’ quanto è capitato ad Alec Issigonis, il papà della Mini Minor, nel 1964, con la Austin 1800. Il successo della Mini e della A40 era stato tale che il board della BMC seguì ciecamente il suo progettista anche nel segmento superiore.
Ma soluzioni d’avanguardia e interni spaziosi non bastano per fare una bella berlina. Che infatti fu un fiasco. Tre anni più tardi Pininfarina propose uno studio aerodinamico sulla stessa meccanica, una forma dieci anni in anticipo sui tempi. L’ingegner Issigonis ne fu entusiasta, non così il management della BMC. Il disegno rivoluzionario nato a Torino sarebbe risuscitato solo nel 1974, nelle forme della Citroen CX.
Renault 12
renault 12
E’ stata un successo, si potrebbe dire, da world-car. Ma oggi è ancora più inguardabile che nel 1969, quando uscì dalle linee di montaggio in Francia. E poi da quelle in Spagna, Portogallo, Irlanda, Romania, Messico, Sud America, perfino l’Australia, per oltre quattro milioni di esemplari.
Qualcuno ebbe il fegato di comprarla in Canada e Stati Uniti. Cosa piaceva di questa tre volumi dal sedere spigoloso e cascante? L’essere proprio una tre volumi, con un grande bagagliaio, tanto spazio dentro, una meccanica robustissima. Scusate se è poco, verrebbe da dire. In fondo anche la nostra Fiat 128 (diretta concorrente) sembrava un cappello con le ruote.
Simca 1000
simca 1000
Continuiamo a infierire sull’industria d’oltralpe. La Simca 1000 è un altro esempio di design funzionalista che, a prima vista, concede poco all’occhio. Nonostante porti la firma di due illustri stilisti: Mario Revelli di Beaumont e Mario Boano.
Prodotta dal 1961 per ben diciassette anni, ebbe successo anche in Italia e vendette quasi due milioni di esemplari. Un risultato notevole per l’epoca. Nata da un progetto congiunto Fiat-Simca, riprendeva lo schema semplice ed economico delle «tutto dietro» , inaugurato dal Maggiolino, seguito da molte Renault e dalle piccole Fiat di Giacosa.
Alfa Romeo 155
alfa romeo 155
E’ nell’opinione comune (ma anche di qualche top manager) una di quelle auto che non avrebbe dovuto nascere. Soprattutto col marchio Alfa. Costruita dal 1992 al 1998 in pieno periodo Fiat, fu la vettura che diede il colpo di grazia allo stabilimento di Arese. Peraltro di Alfa aveva davvero poco.
Pianale della «Tipo» rinforzato, un disegno dei più anonimi, meccanica tutta torinese che abbandonava la trazione posteriore, compresi il celebre ponte De Dion con blocco cambio-differenziale. I clienti Alfa si sentirono un po’ a disagio, e non solo per la plastica e i vellutini «cheap»degli interni. Ma era già successo a quelli della Lancia (che sarebbero finiti peggio). Il marchio del Biscione, con la 155, uscì di fatto dal mercato internazionale delle berline sportive.
Aston Martin lagonda
aston martin lagonda
Si può essere brutte anche costando una montagna di denaro. E’ il caso della Aston Martin Lagonda, limousine di piccola serie costruita in 645 esemplari tra il 1976 e l’89. Se qualcuno ha dei dubbi può confrontarla con quello che la Casa era stata in grado di fornire a James Bond negli anni ’60 (grazie anche alla collaborazione con il carrozziere milanese Touring). La linea schiacciata della Lagonda , che qualcuno soprannominò la sogliola d’Oltremanica, non ebbe successo in Occidente. Gli interni erano supertecnologici, ma funzionavano male (come moti gadget dell’epoca). Le prenotazioni vennero soprattutto dagli sceicchi arabi.
interno della aston martin lagonda
Lancia Delta seconda serie
Vero è che migliorare un capolavoro è un’impresa impossibile. E tale era la Delta di Giorgetto Giugiaro. Un’auto che se ci fosse oggi, appena appena ritoccata, faremmo la fila per comprarla. Ma la Delta serie 2 del 1993-1999 - più che un’auto brutta, è una gigantesca occasione mancata.
lancia delta seconda serie
Tanto il patrimonio di modernità, di stile, di successo sportivo della prima serie era stato dilagante, tanto la vettura che seguì pareva ordinaria e priva di appeal. Chiusa anche lei in logiche industriali improntate al massimo risparmio (era strettamente imparentata con la Tipo e la lancia Dedra), ha contribuito in modo determinante ad affossare lo storico marchio.
nsu prinz
Nsu Prinz
Dopo alcune brutture recenti, una pagina storica. Ma con beneficio di inventario, perché in realtà la NSU Prinz, utilitaria tedesca prodotta tra il 1957 al ’73, doveva la sua linea ad una lontana cugina d’America, la Chevrolet Corvair. Pantografata al minimo, ovvio. Come alcuni ricorderanno, il disegno a doppio guscio della Corvair fu ripreso anche dalla Fiat per le sue berline 1300-1500.
E da una parte e dall’altra dell’Atlantico questa linea curiosa a sandwich, con il tetto a pagoda, ottenne consensi. Non è ben chiaro cosa fruttò, alla piccola Prinz, la sua nomea negativa. Forse il fatto che fosse – un po’ come la Bianchina – leziosa. Un “voglio, ma non posso” che, se di colore verde, si diceva addirittura che menasse gramo.
Alfa Romeo Arna
alfa romeo arna
Dicono che persino i Vigli Urbani di Milano si vergognassero. Perché guardare la Arna e pensare al blasonato scudo del Biscione (anche senza più la scritta Milano) faceva male al cuore. Sono nella memoria di tanti le vicende dell’accordo Alfa-Nissan, una alleanza planetaria di cui si senti parlare a lungo, tra entusiasmi e timori, alla fine degli anni ’70.
fiat duna 1
Il parto della montagna avvenne nel 1983 con la Arna, una due volumi con la carrozzeria della “Cherry” nipponica e la meccanica Alfasud. L’auto era nata vecchia e non rifletteva l’immagine di marca. Per fortuna, dopo solo tre anni, l’incubo era finito e le Arna sparirono velocemente dal mercato. Tranne quelle nel piazzale dei Vigili Urbani.
gli interni della fiat duna
Fiat Duna
Chiudiamo con un luogo comune. Per molti italiani è la pietra di paragone, l’auto più brutta di sempre. La Fiat Duna, tre volumi compatta del 1987, sembra una “Uno” con la coda, ma è più legata alla 127 brasiliana in quanto a pianale e meccanica.
fiat duna e duna weekend
E’ stata infatti concepita per il mercato sudamericano e solo successivamente proposta in Europa. In questa chiave si può spiegare – forse – la sua oggettiva bruttezza. La sindrome del bagagliaio nelle berline piccole e povere sembra incurabile: dalla Duna alla Brava, dalla Renault Classic alla Dacia Logan. Quel metro cubo di spazio chiuso, così gradito nei mercati emergenti, così discreto perché nessuno veda cosa c’è dentro, è una maledizione alla quale, da noi, è impossibile sfuggire.
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