FRANCESCA DE MARTINO per il Messaggero
Aveva inghiottito un micro cellulare con tanto di carica batterie nel buio della sua cella, a Regina Coeli, l'ottobre scorso, per la paura di essere scoperto, ma un malore l'aveva tradito e così aveva vomitato il dispositivo tra le scale, poco prima di raggiungere l'infermeria della struttura. Per questi fatti un 25enne romano, Lorenzo Meloni, già in carcere per reati di furto e droga, è stato condannato a dieci mesi di reclusione dal giudice monocratico.
detenuto ingoia cellulare
IL CASO Il pm Mario Pesci gli contestava l'accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti, reato che prevede una pena fino a quattro anni di carcere. I fatti risalgono al 27 ottobre del 2021. Meloni si trova nella sua cella, a via della Lungara, nel carcere di Regina Coeli, ma invece di sfogliare un libro o una rivista o partecipare ad attività consentite dall'istituto, usa in tranquillità il suo cellulare per avere contatti con il mondo esterno. In mano ha un piccolo dispositivo, con tanto di carica batterie vicino.
Ma, a un certo punto, forse, sente le guardie carcerarie passare per i corridoi del carcere. Il 25enne si intimorisce, teme che possano scoprirlo da un momento all'altro, e così infila il cellulare e il caricatore in un sacchetto in lattice e lo inghiottisce, pur sapendo di rischiare anche la vita, oltre a un altro problema con la giustizia. Manda giù tutto. È convinto di aver evitato il peggio e di averla fatta franca. Ma dopo pochi minuti ha un malore e chiama i medici.
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I secondini lo accompagnano nell'infermeria della casa circondariale, ma non fa in tempo a varcare la soglia e incontrare i sanitari che si ferma a metà strada e rimette tutto tra le scale della struttura. Gli agenti della polizia penitenziaria vedono che in quel sacchetto, rimesso dal detenuto, c'era un piccolo dispositivo con tanto di caricatore. Da lì la scoperta, poi l'arresto e un altro procedimento a carico del 25enne, finito a piazzale Clodio con una condanna a dieci mesi.
dentro un cellulare
PRECEDENTI Non è la prima volta che i detenuti delle carceri capitoline cercano di avere contatti con il mondo esterno e fanno uso di telefonini o apparecchi elettronici. Un caso simile era successo a maggio 2021, gli agenti di polizia penitenziaria avevano sequestrato nel carcere di Rebibbia un cellulare completo di sim telefonica, batteria e cavo di ricarica. Il dispositivo era custodito nel bagno della cella ed era in carica, attaccato alla presa elettrica. Ma, in molti episodi, questi dispositivi entrano nelle case circondariali nei modi più fantasiosi. Sempre a Rebibbia, a novembre 2020, una mamma si era presentata a un colloquio con il figlio con droga, cellulari e carica batterie pronti da consegnare, nascosti nella soletta delle scarpe. Poi la polizia penitenziaria, durante i controlli con il metal detector, l'aveva scoperta e arrestata. A maggio 2021, in una nota ufficiale, il segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) Donato Capece aveva dichiarato che quello dell'introduzione dei telefoni cellulari nelle carceri, è un fenomeno diffuso che non si attenua: «Vanno adottate soluzioni drastiche - aveva dichiarato Capece - come la schermatura delle sezioni detentive».
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