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Il primo giorno del secondo anno di college, Emma Sulkowicz è stata violentata nel dormitorio. Il suo stupratore è uno studente, ancora in corso, che ha violentato altre due ragazze dell’istituto. Tutti e tre i casi sono stati archiviati. La Columbia vuole salvare la sua immagine pubblica.
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Quando ha denunciato l’accaduto, Emma è stata messa nell’orribile condizione di dover spiegare come fosse fisicamente possibile uno stupro anale. Ha dovuto assistere, attraverso uno schermo, alla testimonianza, falsa, del suo stupratore, che ha negato tutto e ha inventato storie disgustose sul suo consenso. Lui è stato dichiarato non colpevole. Lei è ricorsa in appello, ma, secondo la procedura disciplinare, la decisione finale spetta al preside di facoltà, che lo ha salvato. Ingiusto. Si dovrebbe trovare un giudice imparziale, o perlomeno provvedere a un modo per aiutare “le sopravvissute” non vendicate.
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Ogni giorno Emma ha paura di lasciare la stanza. Il suo stupratore gira libero e frequenta le sue stesse lezioni. Se lei va nella dark room per sviluppare le fotografie, lui le sta accanto. Emma si è scagliata contro il pessimo modo in cui la Columbia University ha gestito l’accaduto, è una dei 23 studenti che hanno accusato formalmente l’istituto per aver insabbiato i casi di stupro al suo interno. Ora ha deciso di prendere una posizione “artistica” per cambiare le cose al campus: va in giro portando con sé il materasso del dormitorio e continuerà finché lo stupratore non sarà espulso dall’istituto.
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Il progetto della sua tesi da visual artist si intitola “Mattress Performance” e proseguirà fino al giorno della laurea. La Sulkowicz spiega: «Il materasso è uno spazio intimo, privato. Nell’ultimo anno ho dovuto raccontare a tutti cosa mi è successo lì sopra. Lo voglio portare alla luce, è il peso che dovrò sobbarcarmi ovunque». E’ già esausta, ma non si ferma.
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E’ riuscita a mescolare arte e protesta, in un modo sincero che non si vedeva da tempo. Alcune riviste specializzate ci tengono a sottolineare che la sua è davvero “arte”, erede di una tradizione attivista che un tempo non si curava delle gallerie, ma puntava a rendere pubbliche le oppressioni. E’ una performance sofferta, non facile da affrontare.
Emma ha avuto l’attenzione di tutti i media, da “Al Jazeera” a “Mtv”, ma non ha ricevuto alcuna chiamata o dall’amministrazione scolastica. Nessun contatto. Convive con le sue paure, comprese quella di internet dove, oltre a solidarietà, riceve minacce, e quelle d’istituto: mentre camminava per il campus col materasso un uomo le ha detto: «Sono così tentato di saltarci su».
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