Estratto dell’articolo di Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
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[…] Professore, Napolitano la volle a Palazzo Chigi. La sua chiamata la sorprese?
«Non mi sorprese, anche se mi vedevo caricato davvero di un incarico estremamente problematico, dopo mesi di speculazioni giornalistiche. Non pensai neanche per un attimo di sottrarmi, come mi era successo altre volte. Persino mia moglie, sempre estremamente riluttante a miei impegni vicini alla politica, quella volta mi consigliò subito di rispondere al presidente Napolitano con un sì convinto».
Come andò, esattamente?
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«Ero a Berlino, il 9 novembre del 2011, per un convegno di commemorazione di Ralf Dahrendorf. Alla sera venni raggiunto da una telefonata di Napolitano, che mi comunicò di aver appena firmato il decreto con cui mi nominava senatore a vita. Aggiunse: “Però terrei a vederti domani al Quirinale”. Allora capii che la cosa si faceva davvero».
Si è detto che già dal giugno di quell’anno vi stavate incontrando regolarmente.
«Se è per questo, da molto tempo prima. Negli anni ci siamo confrontati spesso, almeno da quando lui era parlamentare europeo e io commissario. Erano scambi piuttosto approfonditi su tutti i temi europei più rilevanti. Nel 2010 e nel 2011, quando lo andavo a trovare al Quirinale, pur con grande rispetto verso il governo in carica, mi esprimeva le sue preoccupazioni per la situazione».
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Avete mai parlato dell’ipotesi di un governo tecnico?
«Parlato no, ma dentro di me pensavo allora — e penso oggi — che qualsiasi capo di Stato si trovasse e si trovi in circostanze come quelle di allora sarebbe un irresponsabile, se non riflettesse a diverse soluzioni possibili, qualora se ne manifestasse la necessità».
Allora quand’è che l’esigenza emerse, secondo lei?
«Nell’agosto del 2011 c’era stata la lettera al governo Berlusconi di Jean-Claude Trichet e di Mario Draghi, con una serie di indicazioni; poi nell’autunno le smorfie in conferenza stampa a Bruxelles di Sarkozy e Merkel. Era il momento in cui si vide che i contenuti di quella lettera erano indigesti a una parte della maggioranza, in particolare la riforma delle pensioni. L’Europa e i mercati rimasero molto delusi».
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C’è chi parlò di golpe...
«È una tesi che stride con la realtà dei fatti. Il passaggio della campanella con Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi avvenne con particolare cordialità. In seguito il Pdl, pur con voglia e ardore altalenanti, votò tutte le misure concordate dal mio governo e nel 2013 Berlusconi fu fra coloro che andarono da Napolitano per chiedergli di rendersi disponibile alla rielezione. Non solo. Berlusconi l’anno prima mi aveva chiesto se ero disposto a guidare il centrodestra alle elezioni. Le pare che lo avrebbe fatto, se io fossi stato coprotagonista di un golpe?».
Il «Wall Street Journal» scrisse che Merkel nell’autunno 2011 chiamò Napolitano, mettendo pressione per il cambio di governo.
«Non ho mai avuto l’impressione che Napolitano si sentisse sotto pressione. Aveva una solida rete di contatti internazionali del massimo livello, questo sì, e prestava attenzione a ciò che in giro si pensava dell’Italia. Era consapevole della necessità di riannodare su basi di piena fiducia reciproca il rapporto con l’Europa, che si era venuto a smagliare». […]