Jacopo Iacoboni per “la Stampa”
Philip Roth Primo Levi
«Incontrarci è stato per me un piacere molto oltre il dovuto, insperato, benché fossimo ostacolati dalla frizione delle lingue e da troppo rumore intorno», gli scrisse Primo Levi dopo quei giorni passati insieme, a Torino (il 6-7-8 settembre 1986) e pochi mesi prima a Londra (in aprile). Dell'incontro di Levi con Philip Roth, il grande maestro americano del Lamento di Portnoy e Pastorale americana, si sapevano molte cose, comprese tre versioni delle lunghe conversazioni avvenuta a casa di Levi in corso Re Umberto.
philip roth e claire bloom, la moglie con cui visita Levi a Torino
Ma altri dettagli estremamente interessanti, umani e concettuali, emergono dalla biografia americana di Roth: il Levi che Roth aveva conservato nella memoria, e raccontava e difendeva con i suoi interlocutori a New York. Come sapete, la biografia di Blake Bailey - che ha avuto un accesso senza precedenti agli archivi di Roth, oltre ad aver fatto molte chiacchierate con lo scrittore oggetto del suo studio - è stata ritirata negli Stati Uniti per le accuse di stupro che due donne hanno rivolto a Bailey dopo l'uscita del libro (il libro sarà comunque pubblicato l'anno prossimo da Einaudi).
philip roth
Di sicuro le tre pagine che riguardano il rapporto tra Roth e Levi illuminano di particolari un rapporto cristallino, che si era fatto immediatamente intimo e umano. Roth paragona Levi alle stesse sostanze chimiche su cui si era tanto esercitato, un uomo «può essere spezzato e, come una sostanza che si decompone in una reazione chimica, può perdere le sue proprietà caratteristiche».
Ricorda «il profondo abbraccio» che si diedero quando si salutarono, ma ricorda - stando alla biografia di Bailey - un Levi «contento», nonostante la situazione grave data dalla malattia di sua madre. «Non so chi di noi fosse il fratello più grande e chi quello più giovane» (Levi in realtà aveva dieci anni di più, ma forse nell'incontro - stando al racconto che viene fuori qui - le età si invertirono).
Philip Roth Primo Levi
Più tardi, si evince dagli archivi di Roth, lo scrittore americano fece questa riflessione: «Sentii l'immensa buona sorte di uno che crede di essersi conquistato un nuovo amico completamente straordinario, per il resto della vita». Una sensazione diversa fu percepita da Claire Bloom, allora moglie di Roth, attrice (tra l'altro in Limelight di Chaplin, uno dei film preferiti di Levi).
Philip Roth Primo Levi
Bloom raccontò di aver percepito qualcosa della depressione di Levi quando si salutarono a Torino, «non so esattamente cosa fosse, ma ho capito una cosa, e Primo ha capito che avevo capito. Abbiamo vissuto uno strano scambio, una sorta di riconoscimento reciproco, molto, molto forte. Se Primo ha capito qualcosa di sé, questo non lo so».
Philip Roth Primo Levi
Roth stesso stava per precipitare in un lungo periodo di depressione, con insonnia, allucinazioni, panico, costretto a usare oppioidi per curare questi devastanti sintomi. L'11 aprile 1987, due settimane esatte dopo esser rientrato a Londra dall'amata casa in pietra nel Connecticut - dove aveva trascorso l'acme della sua depressione - Roth fu contattato dal New York Times: Primo Levi si era ucciso. Roth ne fu sconvolto.
Benché Levi gli avesse confidato il suo abbattimento per le condizioni di sua madre, ormai paralizzata, quando Roth aveva incontrato lo scrittore torinese gli era sembrato «vivace» e «in buona salute» (disse: «sound»). Sembrava che la disperazione fosse ritornata in Levi dopo l'operazione alla prostata, con lunghe notti incontinenti, e la rivisitazione dell'incubo di Auschwitz per l'ultimo libro finito poco prima della morte, I sommersi e i salvati.
Primo Levi
Quel giorno stesso Roth si recò nella casa di Pimlico di Gaia Servadio (sua amica, nonché la scrittrice che aveva combinato il primo incontro tra i due, su richiesta di Roth, a Londra, all'Istituto di cultura). Sappiamo adesso che, quel giorno, Roth piangeva. Era distrutto. Per lungo tempo, in seguito, coltivò lui stesso propositi suicidi. Ma questa sarebbe un'altra storia.
Di sicuro Roth non dimenticò mai Levi e, cosa forse meno nota, arrivò a odiare Woody Allen proprio in difesa di Primo Levi. Già in Operazione Shylock, Roth (che era un grande amico di Mia Farrow) aveva fatto definire il regista, da un suo personaggio, «un piccolo idiota stronzo».
Woody Allen Mia Farrow
E in una lettera, ora pubblicata, a John Updike che aveva elogiato una scena di Crimini e misfatti (dove tra l'altro recitava Claire Bloom, la moglie di Roth), lo scrittore americano fu ancora più duro. Molti avevano visto, nella scena del rabbino che balla del film, un sarcasmo di Woody Allen ispirato alla figura di Levi.
Woody Allen Crimini e misfatti
Roth fu lapidario: «Immagino che uno debba essere ebreo per odiare apertamente Crimini e misfatti. Lo considero il livello più basso del kitsch ebraico, e la profanazione della memoria di Primo Levi ha accesso dentro di me una furia che non riesco a placare. Quell'uomo, se è possibile usare questa parola per descriverlo, è falso da cima a fondo».
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