Gabriele De Stefani per "la Stampa"
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Peggio di noi, e giusto di un'incollatura, solo la Grecia. L' Italia è in coda alla classifica europea dell' occupazione femminile, una delle più pesanti diseguaglianze che attraversano il nostro Paese. Una diseguaglianza che è anche una zavorra per la crescita. Lavora solo una donna su due (il 49% del totale) e il gap con il resto d' Europa fa impallidire: la media Ue rilevata da Eurostat è del 67,7%, la Germania capolista corre con il 73,2%. E il trend per le nuove generazioni non è in miglioramento: tra le ragazze con meno di trent' anni, il 25,4% non lavora, non studia e non cerca un' occupazione. È un problema nel grande dramma del record italiano di sfiduciati: in Europa sono 8,6 milioni e uno su tre vive nel nostro Paese, dove tre milioni di persone nemmeno vanno più a caccia di un lavoro.
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Risposta in due mosse La pandemia naturalmente ha lasciato il segno. Ma i guai vengono da lontano. «Nell' ultimo anno si è solamente aggravato un problema strutturale - analizza Linda Laura Sabbadini, presidente del Women 20, gruppo del G20 che studia le politiche per le donne -. C' è bisogno di pesanti investimenti e di sbloccarli in fretta, non è il momento della strategia dei piccoli passi. Bisogna muoversi su due fronti.
Il primo è lo sviluppo di servizi educativi per l' infanzia come gli asili nido e di assistenza e cura per anziani e disabili: l' Italia non ha mai investito nel welfare di prossimità, siamo fermi a leggi vecchie decenni e mai applicate e, in generale, ad un sistema che si appoggia sul lavoro non retribuito delle donne. Il secondo fronte è un grande piano per l' imprenditoria femminile».
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Il bivio dei fondi Ue Nell' analisi di Sabbadini il Recovery Plan rischia di rivelarsi un' arma a doppio taglio. E, fin qui, le premesse non sono incoraggianti: «Al momento gli stanziamenti previsti nel piano italiano non sono adeguati, è tutto troppo spezzettato. Per i nidi mancano 3 miliardi, altri 7 per l' assistenza. E all' imprenditoria femminile viene riservato meno di un miliardo. È imprescindibile che la parte di fondi non vincolata dalle indicazioni dell' Ue vada all' occupazione femminile, perché i due settori spinti dalla Commissione, il green e il digitale, danno lavoro soprattutto agli uomini e dunque non aiuteranno a risolvere il problema in maniera adeguata.
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La forbice si allargherà, anche se il tema non è il gap uomini-donne, ma in generale aumentare il tasso di occupazione femminile».
L' effetto Covid-19 «La recessione figlia della pandemia, rispetto alle altre grandi crisi del passato, ha la particolarità di aver colpito più i servizi della manifattura e per questo ha penalizzato maggiormente le donne» riflette Andrea Garnero, economista dell' Ocse. Nell' ultimo trimestre, ad esempio, 249 mila dei 400 mila posti andati in fumo erano occupati da donne.
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«In altri Paesi questa differenza è stata meno marcata, perché in Italia è più spiccata la divisione per comparti, con settori a netta prevalenza maschile e altri, come i servizi alla persona, in cui lavorano soprattutto donne. Una svolta è necessaria, anche perché una bassa occupazione femminile è un pesantissimo freno alla crescita: famiglie con un solo reddito hanno meno entrate, quindi spendono meno, investono meno e chiedono meno servizi. L' economia fatta in casa non funziona».
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Gli stipendi leggeri E, a proposito di redditi, in Italia resta ampia anche la forbice delle retribuzioni: il "Global gender gap report" del World Economic Forum ci colloca al 76esimo posto su 153 Paesi analizzati. Avanti di questo passo, serviranno 135,6 anni per colmare il divario.
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«Servono misure specifiche - dice Saadia Zahidi, direttrice generale del World Economic Forum -. Penso alla definizione di obiettivi di genere specifici per il recupero delle assunzioni e alla riqualificazione professionale per chi occupava ruoli che difficilmente torneranno. Poi vanno alzati i salari per i lavori essenziali che sono svolti soprattutto da donne, come il settore infermieristico o la prima linea dell' insegnamento scolastico».
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