Ugo Bertone per “Libero Quotidiano”
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Paul Elliott Singer, il gestore avvoltoio che ha messo in ginocchio l’Argentina, è un tipo bizzarro; lunedì, quando si consumavano gli ultimi tentativi per trovare un accordo che evitasse il default di Buenos Aires, ha inviato ai suoi clienti del fondo Nml una nota assai allarmata sul «pericolo che incombe su noi tutti».
Mica l’insolvenza di uno o più Paesi spolpati dal fondo avvoltoio ma.., le tempeste elettromagnetiche. Può sembrare strano ma è questa la preoccupazione più urgente del miliardario Usa. Probabilmente lo stesso non vale per i 450 mila risparmiatori italiani che, in condizioni diverse, sono ancora impiombati nel Tango Bond acquistati poco più di dieci anni fa. Una partita che all'improvviso si è riaperta e che promette nuove sorpese.
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In attesa di un lieto fine che, ahimè, ancora non appare all’orizzonte. Ma adiamo con ordine. Stamane alle 11, ora di New York, il giudice Thomas Griesa, 83 anni, il magistrato che ha sorpreso i mercati finanziari (e la Casa Bianca), convocherà le parti in attesa per definire il quadro tecnico, in pratica inedito, di questo strano default. Di norma, infatti, un Paese fallisce quando non ha i soldi per pagare.
In questo caso, invece, l’Argentina si rifiuta di pagare l’intero importo, cioè 1,3 miliardi di dollari, ad una coppia di hedge fund che ha rastrellato sul mercato per poco più di 100 milioni di dollari. «Non intendiamo pagare gli avvoltoi», ha più volte ripetuto il ministro delle Finanze di Buenos Aires Axel Kiciloff, mentre i suoi legali andavano spiegando alle controparti che Buenos Aires non potrebbe, anche se volesse, cedere all’ultimatum.
Thomas-Griesa
Ce lo impedisce il Rufo, cioè la clausola dell’accordo siglato con i creditori che in due tappe, nel 2005 e nel 2010, hanno accettato di praticare lo sconto invocato da Buenos Aires, accontentandosi del 30% circa di quanto prestato al Paese latino americano. Un’intesa amara, solo in parte addolcita dalla garanzia del Rufo: qualora l’Argentina decidesse di pagare a condizioni più vantaggiose un creditore, automaticamente le nuove condizioni andrebbero estese a tutti quanti. Una clausola paracadute che, ahimè, scadrà a fine 2014. Di qui un sospetto, anzi più di un sospetto: l’accordo tra gli hedge e Buenos Aires si farà perché conviene a tutti. Ma solo dopo il 31 dicembre.
CHI STA MEGLIO
scontri e lacrimogeni a buenos aires
In questo modo, inutile negarlo, i veri sconfitti sono i 400mila risparmiatori che hanno accettato le condizioni di Buenos Aires. Anzi solo quello che hanno investito in tango bond dello Stato, perché chi ha in mano titoli emessi dalle province può sentirsi relativamente tranquillo. Ma gli altri devono rassegnarsi al congelamento delle cedole in corso, che l’Argentina non può onorare perché i fondi relatiivi sono stati congelati dal giudice Griesa presso la Mellon Bank di New York.
A fine anno, poi, quando scadrà la famosa clausola Rufo, rischiano di vedere trattati assai meglio altri creditori. Nel frattempo, meglio mettersi il cuore in pace: gli accordi del 2005 e del 2010 prevedono per le azioni collettive maggioranze molto ampie, quasi impossibili da raggiungere. Stanno forse meglio i 50mila risparmiatori italiani che hanno scelto di non aderire alla ristrutturazione del debito argentino e che sono rappresentati dalla Task Force Argentina dell’ABI che ha in corso un arbitrato presso l’ICSID (International Centre for the Settlement of Investment Disputes) che dovrebbe chiudersi entro l’anno.
NICOLA STOCK
Per loro il nuovo default non cambia di molto le cose, spiega il presidente del Tfa Nicola Stock.
SI SPECULA ANCORA
Ma dal punto di vista psicologico è stato segnato un punto importante: l’Argentina ha preso atto che il default del 2001 è una mina pericolosa che va rimossa una volta per tutte. Per questo i mercati finanziari annusano buoni affari sotto le macerie di questo strano default inflitto ad un Paese che ha i mezzi per pagare.
HEDGE FUND
JP Morgan ha già fatto sapere di avere intenzione di fare incetta di bond argentini, magari approfittando di un crollo delle quotazoni salite nei giorni scorsi quasi alla parità nella speranza, poi delusa, di un accordo. Nel frattempo già di profilano contese giudiziarie ed altre speculazioni sul credit default swap argentino, cioè l’assicurazione contro il fallimento. Ieri mattina il derivato è schizzato al 1.440% prima che le contrattazioni fossero sospese. Oggi il Tango riparte.