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    COSA C'E' DA VEDERE IN COLOMBIA? I NARCOS!  – A MEDELLIN VENGONO ORGANIZZATI GLI “ESCOBAR TOUR”, CON VISITE DEI LUOGHI CHE HANNO SEGNATO LA VITA DEL NARCOTRAFFICANTE - TRA LE TAPPE LA TOMBA DI FAMIGLIA, IL "BARRIO ESCOBAR" E LA CASA-MUSEO DEL FRATELLO ROBERTO, DOVE SI POSSONO FARE SELFIE E DUE CHIACCHIERE CON LUI OPPURE VEDERE LE AUTO, MOTO D’ACQUA E ARMI DEL “RE DELLA COCAINA” – MA QUESTA FORMA DI “DARK TOURISM” POTREBBE SPARIRE PRESTO: L’ATTUALE SINDACO…


     
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    Joshua Evangelista per “Specchio – la Stampa”

     

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    «Siete fortunati, non capita a tutti di avere l'opportunità di conoscere il fratello di Pablo». Mentre percorriamo con la sua auto una ripida stradina dell'elegante quartiere di Las Lomas, la nostra guida Jaime cerca in tutti i modi di ribadire l'unicità del momento. Arriviamo davanti a un grosso portone nero, che di fatto sbarra la strada. Jaime, che vanta di essere parente del proprietario di casa, ha le chiavi.

     

    Apre il portone ed entriamo. Davanti a noi si presenta una villetta bianca a due piani, non molto diversa dagli altri edifici di quest' area residenziale a est di Medellín. Di fronte alla porta d'ingresso è parcheggiata una Mercedes rossa con due targhe, di cui una diplomatica. Vicino all'auto è seduto un anziano signore vestito di bianco, con occhiali scuri e un cappellino a visiera. «Don Roberto!», urlano all'anziano.

     

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    L'uomo si alza in piedi, accompagna con entrambe le mani la mascherina alla bocca e si mette in posa per l'ennesima foto ricordo della giornata, in questo caso con una allegra e rumorosa comitiva di trentenni che indossano magliette della nazionale di calcio colombiana. Quando capisce che il lavoro è finito, si toglie la mascherina e torna a sedersi, in attesa di una nuova chiamata. Posare insieme ai fan davanti ad auto blindate e crivellate. È questo il lavoro di Roberto de Jesús Escobar Gaviria, per gli amici El Osito ("l'orsacchiotto"), contabile e fratello del più grande narcotrafficante della storia.

     

    IL FRATELLO DI PABLO 

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    A 75 anni, nonostante sia ormai quasi del tutto sordo e cieco in seguito a un attentato subìto in carcere per mano dei rivali Los Pepes, Roberto Escobar continua a essere l'attrazione più ambita degli "Escobar tour". Dopo aver trascorso 14 anni in prigione, Don Roberto è andato a vivere in uno dei tanti rifugi del fratello. 

     

    Lo ha adibito a museo mettendo insieme fotografie, ritagli di giornali, ritratti e statue, così come auto truccate, moto d'acqua, armi, munizioni e tanti altri oggetti kitsch che attirano l'attenzione dei turisti giunti a Medellín per rivivere le emozioni della serie tv Narcos. Una volta finito il tour, i visitatori possono acquistare tazze, t-shirt e poster con il volto di Pablo o con le sue frasi più celebri.

     

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    Nonostante don Roberto abbia criticato Narcos e chiesto (senza successo) un miliardo di dollari di risarcimento a Netflix, non può non ammettere che alla serie americana deve quasi tutto il successo economico del suo museo. E lo stesso vale per le centinaia di persone che a Medellín vivono grazie a questa peculiare forma di dark tourism: dalle guide agli autisti, passando per i tanti venditori ambulanti che si appostano nei luoghi iconici dei tour, come la tomba di famiglia al cimitero Jardines Montesacro di Itagüí o le strade del Barrio Escobar, fatto costruire nel 1984 dal narcotrafficante per gli abitanti più poveri di Medellín in cambio di lealtà. 

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    Da queste parti, ancora oggi El Patron viene considerato una sorta di Robin Hood. Il fatto che durante la sua vita abbia commissionato dai 4 ai 5 mila omicidi evidentemente è considerato un aspetto secondario.

     

    L'OMAGGIO ALLE VITTIME 

    Negli anni, diversi luoghi iconici legati a Escobar sono stati chiusi o addirittura distrutti su pressione delle associazioni. Nel 2019 è toccato all'Edificio Mónaco, uno dei suoi bunker più famosi, che è stato fatto esplodere in diretta tv con 375 chili di dinamite. Al suo posto il comune ha fatto costruire "Inflexiòn", un parco monumentale dedicato alle vittime del narcotraffico. 

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    Intorno al lungo muro nero dell'"Inflexiòn", sul quale 46.612 fori ricordano altrettante vittime, l'atmosfera è decisamente meno allegra rispetto a quella della casa-museo di Don Roberto.

    Qui i turisti del narcotour e i famigliari di assassinati e scomparsi si trovano spesso faccia a faccia. «Molte persone ce l'hanno con questo turismo, dicono che Medellín non ha più bisogno dei soldi di Escobar», spiega Jaime.

     

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    Se negli anni d'oro del cartello di Escobar veniva definita "la città più pericolosa del mondo" (391 omicidi ogni 100 mila abitanti nel 1991), oggi Medellín è una delle metropoli più vivibili del Sud America e un polo d'attrazione per molti expat statunitensi e canadesi, che scelgono i bar più cool del quartiere Poblado come base per le loro attività da nomadi digitali. In molti si vantano di essere stati fautori della trasformazione di Medellín da roccaforte del narcotraffico mondiale a "città più smart del mondo", come l'ha definita Newsweek nel 2019.

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    Tra questi l'urbanista Federico Andrés Gutiérrez Zuluag in arte Fico, nemico giurato degli apologisti di Escobar e sindaco della città quando l'Edificio Mónaco fu raso al suolo. Attualmente Gutiérrez è impegnato nella campagna elettorale per le presidenziali che si terranno in Colombia il prossimo 29 maggio.

     

    LA SFIDA URBANISTICA

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     «Se Fico diventasse presidente i nostri tour sarebbero a rischio», spiega Jaime, che critica la scelta di abbattere gli edifici di Escobar. «Prima di far esplodere l'Edificio Mónaco hanno chiuso tutta l'area facendola proteggere da guardie armate: evidentemente volevano portarsi a casa i soldi e la droga che Pablo aveva nascosto tra i muri». I luoghi di Pablo Escobar non sono l'unica attrazione per i turisti interessati a conoscere la travagliata storia recente di Medellín. A far da contraltare c'è la "Comuna 13", una baraccopoli di quasi 200 mila abitanti ubicata lungo i ripidi pendii nell'estremo sud della città, nata come accampamento spontaneo di colombiani in fuga dai conflitti armati. Tra il 16 e il 17 ottobre 2002 la "Comuna 13" fu il teatro dell'operazione "Orion", durante la quale il governo assediò il quartiere con elicotteri, carri armati e quasi 2.000 tra soldati e paramilitari. Sul numero esatto di civili morti e desaparecidos, la "Comisión de la Verdad" sta ancora indagando.

     

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    Dopo decenni di isolamento e segregazione, nel 2011 il quartiere fu collegato al resto della città da una serie di scale mobili e ben presto diventò l'emblema della trasformazione urbanistica. Grazie a venditori di street food, writer, musicisti, ballerini e artigiani che animano i suoi vicoli, oggi la "Comuna 13" è una delle principali attrazioni della città.

     

    Tra i tanti testimonial del cambiamento c'è Bill Clinton, che con la sua fondazione ha investito cospicuamente nell'area. Le foto dell'ex presidente degli Stati Uniti a passeggio tra i graffiti arredano i muri di diversi bar del quartiere. «In realtà siamo stati noi del quartiere a portare il cambiamento, non è venuto da fuori», spiega Adrian in arte Adriatico, un rapper e ristoratore 23enne nato e cresciuto nella "Comuna 13".

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    LE "CASAS DE LA CULTURA" 

    A 13 anni Adrian fu messo alle strette da una gang: se non fosse diventato un loro soldato, avrebbero ucciso tutti i membri della sua famiglia. Dopo essersi nascosto a Bogotà insieme ai genitori per alcuni anni, Adrian tornò alla "Comuna 13". Qui trovò rifugio in una delle "casas de la cultura", centri di aggregazione giovanili che insegnano arte e mestieri ai ragazzi del quartiere. 

     

    Grazie alla sua musica, oggi Adrian è un punto di riferimento per i più giovani del barrio.

    «Se questo quartiere sta cambiando in meglio è solo grazie alla determinazione dei suoi abitanti e dal lavoro educativo delle casas de la cultura, che forniscono alternative concrete ai ragazzi», ribadisce con orgoglio.

     

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    La più famosa è "Casa Kolacho" (dall'omonimo rapper ucciso da una gang nel 2013), tra le realtà più impegnate nell'accompagnare i turisti alla scoperta di artigiani, birrai e artisti del barrio. I soldi dei tour vengono reinvestiti in cibo, assistenza sanitaria e corsi doposcuola per i bambini più poveri. Secondo i responsabili, più di tremila persone hanno beneficiato di questi programmi. Ma sarebbe sbagliato pensare che il narcotraffico sia sparito con l'arrivo dei turisti. I clan hanno intuito il potenziale economico del turismo di comunità e si preoccupano di garantire la sicurezza dei visitatori.

     

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    Il prezzo è il pizzo, pagato da tutti. «Anche dalle associazioni che tolgono i ragazzi dalle strade e che organizzano questi tour», ci spiega una guida, che mantiene l'anonimato. «Per girare in sicurezza paghiamo ottomila pesos (circa 2 euro, ndr) per ciascun partecipante del tour. A voi sembrerà un controsenso, ma non c'è altra scelta. Del resto, da loro abbiamo garanzie, dallo stato no».

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